Spesso sono proprio i teatri frettolosamente chiamati piccoli a proporre occasioni di conoscenza e scambio che gli spazi grandi non consentono. Tra le realtà più interessanti a Roma si distingue Teatrosophia. Ne parliamo con il suo appassionato direttore artistico, Guido Lomoro.

Partiamo dalla notte buia e tempestosa che ti ha fatto nascere l’idea di dirigere un teatro…
Ahahahahah. Sarebbe una storia molto lunga ma cercherò di essere breve. Laureato in legge pentito. Immobiliarista. Pentito anch’esso. Molti anni fa scopro il teatro per puro caso, perché trascinato da una mia amica alla lezione di prova di un corso di recitazione. E’ partito tutto da lì. Il primo spettacolo preparato in un sotto negozio. La scoperta che quella era la mia strada. L’apertura di una scuola di teatro, Chièdiscena, ‘vissuta’ per ben 10 anni. Tanti spettacoli, da attore e poi regista e sempre da organizzatore e produttore. Ma il sogno era uno, si chiamava Teatrosophia. Aspettavo il momento giusto. E quel momento è arrivato nel 2016 quando rimasi folgorato dallo spazio di Via della Vetrina. Apertura nel 2018. Quasi 2 anni di attività e poi è arrivato il Covid….

Quali sono per Guido Lomoro i criteri che disegnano la nozione di qualità del suo cartellone?
Ho un chiodo fisso. I giovani talenti. Il mio principale obiettivo è quello di fornire loro la prima opportunità. Com’era una volta. Gli spazi off come trampolini di lancio, ‘palestre’ per chi comincia il lungo e complicato cammino di artista teatrale. Infatti nella prima parte della stagione ho ospitato due giovani compagnie (Materiale Umano e Cosmo-Apolidi) che hanno dimostrato di avere talento da vendere. E cerco di coinvolgere attori emergenti anche nei miei spettacoli come ho fatto con Xanax, del quale ho curato la regia, e che ha visto come protagonisti i bravissimi Giulia Martinelli e Gabriele Giusti.

Per entrare nello specifico della tua domanda ti rispondo che non ho un criterio. Vado a istinto, cerco, in ogni proposta che mi arriva, un elemento che mi coinvolga e che mi faccia decidere di inserire quello spettacolo nel cartellone di Teatrosophia. La vera novità di quest’anno è che sto dando più spazio a me stesso. Dirigere Teatrosophia è molto impegnativo e ho trascurato la mia parte creativa. L’esperienza del Covid, i mesi di inattività, le lunghe riflessioni hanno prepotentemente fatto rinascere la voglia di rimettermi in gioco artisticamente. A ottobre ho aperto la stagione dirigendo Xanax di Angelo Longoni. A febbraio metterò in scena un mio testo dal titolo Nessuno dopo di te che ovviamente avrà come protagonisti due giovani attori: una storia d’amore  tra due ragazzi, vissuta in una gabbia di bisogni, paure e tentativi di vita.  E in primavera sarò il regista di Fantasme, testo tratto dall’omonima opera di Claudio Marrucci: un viaggio nell’universo femminile, storie di donne del passato, vittime, fantasme appunto, che, rievocate, tornano a raccontarci le loro storie, in tutta la loro amara attualità.  Insomma tanta roba, che mi fa dormire poco e riposare ancora meno, ma che bello no?

Un breve ripasso delle difficoltà incontrate in questi anni, che ci aiutino a comprendere i nodi strutturali di un teatro piccolo e serio.
Cara Roberta, dovrei scrivere pagine e pagine per risponderti adeguatamente. Posso solo dire che il teatro in generale ha vita difficile in questo paese, fatta eccezione per alcuni ‘eletti‘. Ti dico anche che la gente è completamente disabituata al teatro, ormai da diversi decenni. Che le istituzioni non intervengono adeguatamente né nella valorizzazione o diffusione della cultura teatrale né a livello economico. Che le piccole realtà sono totalmente ignorate, abbandonate a se stesse. Che esiste troppo la filosofia della cura del proprio orticello. Eccetera eccetera. Io non mollo perché amo troppo il mio lavoro. Non c’è altro che mi stimoli a continuare questa attività. Purtroppo.

E invece le migliori soddisfazioni di Guido Lomoro?
Le soddisfazioni sono quelle che derivano dalla consapevolezza di dare sempre il meglio. Soddisfazione è un bello spettacolo che viene ad abitare per alcuni giorni Teatrosophia. Soddisfazione controbilanciata dal dispiacere di due amari dati di fatto: il pubblico che spesso è solo quello che ruota intorno alla compagnia di turno. E l’atteggiamento di chi si occupa di teatro che spesso ignora ciò che avviene nei piccoli spazi. Soddisfazione è un artista che mi dice che come Teatrosophia non ce n’è. Soddisfazione è lavorare a fianco degli artisti quando sono qui, farli sentire a casa.

Soddisfazione è il pubblico che ci dice grazie al termine di una serata: grazie perché lo spettacolo è stato di qualità, perché si sono sentiti accolti in modo adeguato in uno spazio bello e curato, perché dopo ogni spettacolo li intratteniamo con un aperitivo semplice che consente la continuazione della serata in un clima di sereno confronto. Soddisfazione è dire sempre quello che penso e rendermi scomodo. Solo gli scomodi riescono a far cambiare le cose. Io non sono riuscito a cambiare nulla in realtà, ma ho la presunzione di pensare che Teatrosophia è altro. Un orticello anch’esso, ma ‘altro’.

Cosa significa fidelizzare un pubblico, specie in una città competitiva come Roma, e come sapete rivolgervi alle generazioni più giovani?
Fidelizzare il pubblico è la cosa più difficile di tutte. Per il motivo che accennavo prima. Il teatro è ancora per molti, troppi, qualcosa di lontano, noioso, inutile. Qualcosa per pochi. Errore madornale. Ma d’altronde dopo un trentennio di televisione becera, e di totale trascuratezza da parte delle istituzioni, cosa potremmo aspettarci? A noi piccoli non rimane che proporre qualità, che parlare con il pubblico che interviene e trasmettere il concetto che il teatro è importante, utile, fruibile, fonte di divertimento, emozione e riflessione. Impresa ciclopica, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare no?

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