Il potere della moda è immenso se ne misuriamo l’incisività sull’immaginario collettivo. La moda crea appunto modelli, icone da imitare, a cui ispirarsi, tendere. Ovvio che questi modelli misurano il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, ossia creano scale valoriali in base alla prossimità con la perfezione del modello: quanto più ti avvicini, “sei giusto”, “vali”, va “bene”. Il modello è l’unità di misura dello standard auspicabile. Una convenzione, ovvio, cangiante a seconda delle epoche, eppure, come tutte le convenzioni, detta legge.

Questo solo per comprendere l’importanza socioculturale della moda che, per fortuna, oggi più di sempre è consapevole della propria responsabilità. Per questo, le nuove sfide del sistema-moda ruotano intorno ai concetti di inclusione e diversità, appunto l’opposto dello standard omologato a cui aspirare. Oggi i marchi più competitivi hanno come mission principale del brand positioning quella di riuscire a rappresentare l’unicità di ognuno.

Genio assoluto di questa prospettiva è Stephanie Thomas, nata con una amputazione congenita. Il suo brand con sede a Los Angeles – Cur8able – ha ridefinito i contorni dello styling della moda, mettendo il design a servizio della disabilità per creare nuove opportunità.

Se da tempo ormai l’abbattimento delle barriere architettoniche è nei progetti di ogni architetto, così come è collettivamente sdoganata la consapevolezza che rendere accessibili spazi sia un beneficio per chiunque, nel fashion system la rivoluzione è oggi: secondo il Boston Consulting Group, le aziende che stanno attuando una politica di diversità hanno 19 punti percentuali superiori agli altri.

Il Manifesto
della diversità e dell’inclusione

Intanto, la Camera della Moda Italiana ha da poco approvato il Manifesto della diversità e dell’inclusione con 10 principi fondamentali in cui, tra l’altro, si legge:

Numerose ricerche di mercato hanno dimostrato che le politiche inclusive hanno una forte incidenza sul business delle imprese. Allo stesso tempo, l’inclusione trasmette la cultura aziendale, spesso attrae nuovi talenti e favorisce una relazione di maggiore fiducia con i clienti”.

Del resto, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2011 il 15% della popolazione mondiale convive con una qualche forma di disabilità, il che significa che stiamo parlando della più grande minoranza al mondo. Si prevede infatti che il mercato globale dell’abbigliamento adaptive raggiungerà quasi 400 miliardi di dollari entro il 2026.

L’influencer Benedetta De Luca (anche in copertina)

Il punto dunque è valorizzare le diversità, le unicità di ognuno, in modo da combattere discriminazioni, marginalizzazione e intolleranza e promuovere una cultura della molteplicità basata sul mutuo scambio e rispetto. Lo ha capito benissimo Elisa Fulco, founder del Cultural Welfare Center, impegnato a valorizzare arte e cultura per il loro aspetto terapeutico, che ha voluto per il suo progetto sulla disabilità Tu es Canon il Manifesto della moda inclusiva.

Ma che cosa è esattamente la cosidetta moda adattiva, o moda fluida
o adaptive fashion?

Avete mai pensato come sia difficile per chi ha delle protesi, ad esempio, o i sensi rallentati, o sta su una sedia a rotelle, o per chi non ci vede, il semplice gesto – per gli altri automatico – di indossare un paio di jeans? La vera differenza, udite udite, non la fa il modello ma i dettagli: abbottonature con magneti o velcro al posto di zip e bottoni, cinture senza fibbie e passanti, scarpe che si allacciano da una App create da Nike che si chiama appunto Nike Adapt.

Vero pioniere è l’italiano Pier Giorgio Silvetrin con Lydda Wear, da oltre 15 anni è impegnato su progetti Design for All. Marco Bartoletti, invece, della toscana B&B Holding, si è lanciato sugli accessori per le borse rifornendo i più famosi marchi di moda mondiale:

“Abbiamo cominciato con 2 dipendenti – racconta – e in 20 anni ho portato l’azienda a volare con decine di milioni di fatturato e oltre 250 assunti. Oltre il 25% dei dipendenti sono persone con difficoltà: malati gravi, persone con sindrome di Down, con disabilità motorie, autistici, ex-tossicodipendenti. Persone che grazie al lavoro crescono la propria autostima e la propria salute sia fisica sia psicologica“.

Oggi il brand più lanciato sull’adaptive è però Tommy Hilfinger (guarda Tommy Adaptive), mentre Stati Uniti e UK ne stanno sfornando come una manna, puntando dritti al glam dell’adaptiveness: Care + Wear punta su golf per i pazienti oncologici con flebo o cateteri; Adaptivelife si rivolge agli under 20; The Able Label veste con eleganza gli anziani affetti da Alzheimer, Parkinson e disturbi motori.

Concludo suggerendovi questo film straordinario che vi farà ridere, commuovere e riflettere: love it!

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