Finalmente a casa. È stata una giornata impegnativa. Tra appuntamenti, telefono e chiacchiere non ho avuto un attimo per far scappare i pensieri in qualche posto al sole. La cena é già pronta: un avanzo di domenica. Immagino si sia offeso a chiamarlo così, visto che sono dei deliziosi finocchi avvolti nella Mortadella di Prato, gratinati al forno, ma quello é.

Stasera ho diritto a bere qualcosa di speciale, di avvolgente e sorprendente. Vado nella mia stanza dei vini e comincio a guardare le bottiglie come se dovessero dirmi qualcosa. Silenzio. Nessuna voce o bisbiglio. Tocca a me scegliere.

Cerco un rosso che non sia troppo impegnativo, intendo come impatto, ma che si affianchi accanto a me e, ad ogni sorso sia suadente, avvolgente come sanno essere alcuni incontri sconosciuti.

Decisa estraggo dalla cantinetta di legno la bottiglia che ha la ceralacca rossa sul tappo: Muraje Sumié 2017 Carema, un piemontese. Un’etichetta bellissima con una specie di pilone di muratura che tiene il traliccio di vite. Spero che sostenga anche me e la mia giornata.

Scaldo il mio piatto e aspetto qualche minuto prima di versarlo nel bicchiere, così tanto per fargli prendere l’aria di casa. Mi siedo e verso il vino. Lo guardo e già il colore mi piace. Ancora qualche attimo. Poi inizia il rito, comincio ad annusare come fosse un fiore. Mi perdo come sempre.

Complesso e speziato, etereo. Assaggio. Strauaooooo! Era esattamente quello che volevo accanto a me. Con la forchetta prendo una piccola parte di finocchio e non posso che essere felice. La Mortadella di Prato, che é un salume a base di Alchermes (no, no… non quello che si adopera per la zuppa inglese) dona con la sua aromaticità, la complicità a questa verdura che mai dovrebbe essere abbinata ad un vino. Eppure é un tripudio.

Qualche giorno fa sentivo alla  radio un programma condotto da Ambra Angiolini, che parlava di anima, di come tutti i giorni dovremmo nutrirla con qualcosa che ci ricordi un momento felice, tipo l’integratore che prendiamo per mantenerci in forma. Una canzone, una foto, un abbraccio, qualsiasi cosa che la alimenti in maniera positiva.

Io ho fatto di meglio, perché l’ho nutrita in diretta. Mi sono dimenticata di tutte le pesantezze e ho cenato sorridendo. Verso la fine del mio piatto, ma sempre con il bicchiere accanto, scrutando con attenzione l’etichetta, leggo: Eroici Artigiani Sognatori.

Mio. Voglio sapere tutto il resto che non conosco, a parte che é una DOC, che é Nebbiolo, che si produce solo in questo comune quasi al confine con la Val d’Aosta e che é molto, molto apprezzato.

Così comincio a girare tra immagini e descrizioni su quel frullatore di internet e capisco il significato di Eroici. La zona é un anfiteatro naturale dove non si arriva a 20 ettari totali, composto da muri a secco che formano vari terrazzamenti.

Da ognuno di questi si ergono delle costruzioni tronco-coniche create in pietra e calce che a loro volta hanno un cappello, sempre di pietra, dove poggiano dei tralicci con le viti che formano delle pergole. I caremesi le chiamano topia e i pilastri pilun. Stiamo parlando di architettura topiaria che ovviamente si rifà all’ars topiaria di epoca romana.

Guardando le foto sembra di vedere dei templi fioriti, una sorte di riqualificazione pagana. Invece la funzione di queste costruzioni é quella di immagazzinare calore per renderlo la notte, mitigando per quanto possibile l’escursione termica. Qui tutto é a mano e con fatica, senza nessun aiuto meccanico e\o chimico.

Federico e Deborah Santini sono gli Artigiani. La prima vendemmia nel 2012 grazie all’aiuto di un amico, creando dall’uva il primo vino, quello che ha dato la spinta per arrivare ad un ettaro e mezzo dislocato nelle varie terrazze. E Muraje debutta nel 2015, omaggiando con il nome quei muri a secco che sostengono la terra.

Il 2017 non é solo la data della costruzione della cantina, ma il primo con la DOC con una produzione di 1342 bottiglie. E una é toccata a me. Il Nebbiolo, che la compone é suddiviso tra due tipologie della zona: Neyret e Ner d’Ala ed arriva ad essere imbottigliato dopo circa 20 mesi in tonneaux esauste dopo tutti i processi eseguiti in modo naturale.

Praticamente dopo 2 anni dalla vendemmia. Adesso la parola più bella, quella dei Sognatori, perché per esserlo non c’è un limite, ne una patente, ne un prezzo. Basta lasciar andare lo sguardo oltre la mente per trovarsi nel sogno. Immagino che sia stato questo per loro, il momento in cui hanno deciso di abitarlo, abbandonando remore e luoghi comuni. Liberi. 

Per acquisti: Teatro del Vino – info@teatrodelvino.it

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