La docuserie Harry & Meghan merita una menzione se non altro perché si avvia a diventare uno dei prodotti più visti di sempre su Netflix: sei puntate che raccontano la visione della coppia, il principe Harry secondogenito di Carlo e Diana, e sua moglie l’americana Meghan Markle, anche detti i duchi di Sussex, della grande fuga dalla famiglia reale britannica nel 2020.

Pensavamo di aver già sentito la loro versione varie volte, fra cui l’ormai celebre intervista a Oprah Winfrey; e non c’è la risposta alla domanda che tutti vorremmo fare, ovvero chi fu a parlare a Meghan Markle del colore che avrebbe potuto avere il figlioletto Archie? Invece ci viene riproposta la frase secca che in proposito Harry offrì a Oprah: “questa cosa non la dirò mai”. Amen.

Ma siccome molte altre cose invece le dicono in questa docuserie, un’ipotesi sul/la colpevole di razzismo verso Meghan, figlia di un bianco e di una nera, in questo caso si può fare: deve essere nel cerchio intimo della famiglia, nonni, fratello, cognata, zii, cugini…

La docuserie fa parte del lucroso pacchetto firmato dalla coppia con Netflix in previsione della necessità di guadagnare un po’ di soldi in proprio. Non ci viene detto quando e come fu siglato il contratto ma evidentemente prima della grande fuga: le testimonianze cominciano nei giorni dell’addio, con filmatini autoprodotti, Meghan struccata e ansiosa. Il grosso della docuserie invece è costituito da archivio, interviste ad esperti della real casa, a parenti di Meghan, e ad amici più o meno famosi (per esempio Serena Williams) e soprattutto da spezzoni di tre mega interviste, una alla coppia, una a Meghan, una a Harry.

Mettiamo da parte la fastidiosa sensazione che si palesa subito nello spettatore, ovvero che con tanti disastri al mondo, una crisi economica globale e la gente che muore sotto le bombe o di freddo in questo inverno di carenze energetiche, non solo in Ucraina, la voglia di impietosirsi sulla sorte di Harry e Meghan, perseguitati, sia scarsa: se lo vediamo è anche per una forma di escapism, il desiderio di scordarci del resto.

Qualcuno infatti in Gran Bretagna, dove la serie è oggetti di infiniti articoli, sostiene – a ragione direi – che i due reali in fuga stiano assolvendo al compito precipuo della monarchia Windsor da Edoardo VIII in poi, ovvero fornire spettacolo ai sudditi con una love story contrastata. Come  il re che abdicò per Wally Simpson, come la principessa Margaret sorella di Elisabetta che non poté sposare il divorziato Peter Townsend, come Carlo e Camilla e soprattutto come l’infelice Diana.

L’ombra della Principessa del popolo aleggia sull’intera docuserie: a perseguitare Meghan ci sono due cattivi, una è l’Istituzione (che Diana chiamava The Firm), ovvero la casa reale, dove i singoli vengono inghiottiti dalle necessità del ruolo. L’altra è la stampa britannica, in special modo i tabloid e il loro smaccato razzismo verso Meghan – cosa, questa, evidente e dimostrabile, dimostrata infatti da titoli, articoli, insinuazioni.

Entrambe le cose però – la durezza dell’Istituzione e la cattiveria della stampa con la sua logica conseguenza, l’immanenza dei paparazzi – sono le stesse che fecero soffrire Diana e in verità la portarono alla morte (a tal proposito vi invito a leggere il libro Diana the last days di Martyn Gregory).

Per il principe Harry salvare Meghan ad appena due anni dalle nozze e dall’ingresso nel mondo reale diventò quindi un imperativo: lo ripete molte volte, “il mio compito come marito e come padre”, perché la compagna non finisse preda dei fantasmi bui, dell’infelicità, dell’alienazione come lo fu la madre amatissima; e per estensione, anche se questo non è detto, salvare il primogenito e gli altri figli futuri dall’infelicità patita da lui e dal fratello William.

Una cosa va sottolineata: chi pensa a questa come a una storia di profitto, magari a Meghan come ad una arrampicatrice sociale, dovrà ricredersi. Non solo lui è infatuato di lei, ma lei è chiaramente innamorata (oppure sono due grandissimi attori, lei molto migliore di quanto sia mai apparsa quando recitava nella implausibile serie Suits). E sono anche disastrosamente simpatici, al di là di tutto due ragazzini un po’ ingenui; Harry di più, anche se su questo sorge il dubbio di una accurata sceneggiatura: possibile che davvero nella prima visita alla regina a Windsor lui le abbia detto “sai fare l’inchino, vero?”.

Perché mai Meghan avrebbe dovuto sapere inchinarsi? E possibile però che lei abbia pensato che lui stesse scherzando? Se non è vera, è ben trovata; se è vera, basta da sola a spiegare tutta la storia e la distanza siderale non di classe o di censo, ma di abitudini e cultura da cui si sono avvicinati.

Se i tabloid, il razzismo e i paparazzi furono la fonte primaria di sofferenza, infatti, il secondo dramma di Meghan fu la famiglia reale stessa. Primo, perché di fronte all’invadenza della stampa non la difesero: l’atteggiamento dei reali, lamenta Meghan e conferma Harry, è che le intrusioni della privacy vadano semplicemente ignorate. “Mio carissimo ragazzo, non si attacca la stampa” avrebbe detto Carlo al figlio.

Ma c’è di più: i due accusano, neanche tanto velatamente, la real casa, gli scagnozzi degli uffici stampa e in fin dei conti i loro perfidi padroni, di usare la stampa a scopi propagandistici, fornendo gossip e informazioni in rivalità e non in accordo gli uni con gli altri. Harry accusa di questo anche il fratello, in termini non proprio nascosti, sostenendo che avrebbe infranto il patto fatto da ragazzi di non scendere mai a questi mezzucci.

Harry parla anche di quanto fu sgradevole sentirsi urlare contro da William nella riunione di famiglia che avrebbe dovuto definire i termini della grande fuga. Per non dire delle accuse di aver tolto le guardie del corpo alla coppia in fuga sebbene più che mai perseguitata dai fotografi (mmh, ma chi le pagava, la Corona o lo Stato britannico?)

Un dito si punta, in fin dei conti, contro una colpevole: Kate, moglie dell’erede al trono, la principessa perfetta, la borghese che ha saputo piegarsi alla ragion di Stato in tutto e per tutto. L’accusa non è mai esplicita ma è evidente. Si dice che Meghan da principessa stava guadagnando troppa popolarità e facendo ombra a qualcuno, e che a seguito di questo cominciò sui tabloid una seconda campagna anti-Meghan: non più centrata su epiteti razzisti come prima delle nozze, ma sul suo egoismo e sul suo protagonismo.

Sfilano foto contrapposte di Kate e Meghan nelle stesse circostanze – incinta con la mano a proteggere la pancia, o abbigliata con un vestito monospalla – con didascalie di corredo molto diverse, le une tenere, le altre aggressive. E la tradizione della presentazione dell’infante neonato al pubblico: Diana con Carlo, fragile e spaurita; la perfetta Kate che emerge dall’ospedale poche ore dopo il parto; e Meghan… due giorni dopo a Windsor. Lei spiega: “era mio figlio, non un oggetto d’esposizione, e in ogni caso io ho partorito in un altro ospedale perché c’era un medico di cui mi fidavo, e sarei stata disposta a fare lì la sfilata ma mi dissero che non era logisticamente possibile per questioni di sicurezza”.

In breve: alla fine, la docuserie Harry & Meghan si fa guardare e non è neanche noioso, e qualche rivelazione la fa – appunto, assolvendo al compito di intrattenimento. Un dignitoso silenzio magari sarebbe stato più opportuno; ma non possiamo escludere che tutto ciò non dispiaccia interamente all’Istituzione.

L’intera docuserie, in sei puntate, è stata conclusa dopo la morte del principe Filippo di Edimburgo, marito di Elisabetta II; ma prima della scomparsa della sovrana (che non viene quasi mai citata, come se fosse stata assente dagli eventi). La coppia è tornata in Inghilterra per i funerali, sebbene in secondo piano; magari la famiglia reale non sapeva esattamente cosa sarebbe emerso dalla serie Netflix, ma è notizia recente che re Carlo III li prevede presenti anche alla sua incoronazione che avrà luogo il prossimo 6 maggio (escluderli sarebbe pessima pubblicità); alla fine, il dubbio che sia tutto showbiz viene.

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