Ho 42 anni e ho iniziato a scrivere di teatro quando ne avevo 33; mi diverte pensarmi adulto e giovane, contemporaneamente. Questi 9 anni, da autore, sono passati che neanche me ne sono accorto (pensare che sono della vergine, per niente distratto), mannaggia a me, non ci ho mai creduto quando mi dicevano: “il tempo passa come un ciatu pigghiatu” (* alla velocità di un respiro).

Il tempo si sta prendendo i miei capelli, i movimenti larghi dei miei arti, i denti bianchi; tutto, si sta prendendo, tutto, ma nun ci pozzu battagghiari (*non posso fargli guerra), lo sta facendo gentilmente, senza farmi male.
Ci siamo accordati su una cosa, però: tutto, tranne quello sguardo di puttana vecchia che ho da sempre.

Spesso parlo con colleghi autori che hanno la metà dei miei anni, e spesso leggo le loro opere per conoscerli attraverso il loro talento; mi affascina un giovane di oggi che scrive, e sia chiaro che è una benedizione per tutta la società: per la panettiera, per l’infermiere, per il parrucchiere, per l’operaio, per tutti, anche se questi non ci pensano che uno scrittore è bene prezioso.

Se da un lato è vero che la gioventù è gioventù, come sempre, dall’altro c’è da ricordare che in questi vent’anni che mi separano da loro, è cambiato il modo di concepire la scrittura perché è cambiato il mondo, come anche il concetto di identità collettiva mutata in identità individuale, che poco s’ appatta (*coincide) con la necessaria condizione evolutiva della polis.

Troppo spesso leggo testi scritti solo per due personaggi: “perché già con tre attori non si riesce ad andare in scena” mi rispondono questi giovani.
Certo che se le grandi istituzioni italiane per la ripartenza post covid hanno proposto solo monologhi, come possiamo scrivere il futuro, se la richiesta che viene fatta è misera?

Quello che dico è sicuramente opinabile, ma credo che valga la pena rifletterci, perché è un tarlo che ha intaccato qualsiasi campo lavorativo.
Sarà l’incertezza economica, l’inadeguatezza dei ruoli istituzionali e familiari; davvero, non saprei spiegarlo, forse tante cose insieme, come il progressivo impoverimento dei pensieri universitari, una scuola superiore settoriale che cerca solo collegamenti tra materie escludendo il ragionamento, forse le famiglie nelle quali manca raccontare storie, non so, ma ho la sensazione che la maggior parte dei giovani (autori) stia giocando a ribasso, accontentandosi di quel poco che c’è (già).
Scrivere per due ruoli, di per sé non è un problema, lo diventa quando il pensiero creativo viene limitato dalle difficoltà produttive, perché il risultato sarà evidente: si affronta una tematica sociale di disagio, che uno dei due personaggi porta in scena mentre l’altro cerca di contrastarne l’azione drammatica, a volte risolvendone il problema, a volte venendone sopraffatto.
Va bene scrivere i monologhi, i testi a due, ma si deve tendere alla semplicità attraverso la complessità delle relazioni umane, non con la semplificazione di una messa in scena possibile.

Se manca la fantasia, la voglia di esplorare ogni minima parte dell’animo umano, se non si capisce che bisogna analizzare ogni sentimento possibile che genera conflitti o amori ingestibili, se manca il coraggio di raccontare le cose come stanno, semplicemente (a volte basta guardarsi accanto per trovare storie da raccontare) si diventerà un mestierante, non autore: un bene prezioso.

E avere fantasia non significa far parlare cani e gatti o mangiare chiodi e pettinarsi con i kiwi, significa non impaurirsi di essere diverso da come ti vorrebbe la moda imperante.

Dovrebbe esserci il desiderio di raccontare una storia, pericolosa per l’autore, perché tocca parti del suo cuore e attraversa parti della sua testa, non necessariamente autobiografico, ma personale: basterebbe questo per scrivere un ottimo testo.
Se si potessero trovare ed elencare i segreti di un grande autore, tutti potremmo scrivere, come tutti potremmo recitare, tutti cantare etc etc, invece no, bisogna avere quell’istinto, misterioso, che ti fa esprimere in un modo unico, il tuo; bisogna avere tanto coraggio.

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