Situato sulla costa orientale dell’Oceano Indiano, attraversato dall’equatore, il Kenia, è un paese equatoriale e tropicale, con climi molto vari al suo interno e caratterizzato da una geografia molto complessa.

Dalle coste sabbiose dell’oceano indiano, procedendo verso l’interno, a nord ci si imbatte in vaste aree desertiche nel centro sud invece in altopiani, con boschi e savane. Le lunghe catene montuose, che lo attraversano da nord a sud, e che nel ramo orientale della Rift Valley sono dette Rift di Gregory (così è chiamato il tratto tra il Kenia e la Tanzania), costituiscono l’elemento morfologico che maggiormente caratterizza il Kenia. Scarsa la presenza di fiumi, e tra quelli presenti solo due vantano caratteristiche ragguardevoli: il Tana e il Galana.

Repubblica presidenziale, con un presidente che è capo sia dello stato sia del governo, il Kenia ha un sistema multipartitico, nel quale il potere esecutivo è attribuito al governo e il potere legislativo, oltre che al governo, è conferito all’Assemblea Nazionale e al Senato, mentre il sistema giudiziario è sostanzialmente indipendente da entrambi.
Nel 1997, a seguito delle elezioni generali, vennero apportate sostanziali modifiche alla Costituzione keniana: malgrado ciò, nel periodo che va dal 1997 al 2002 sotto la presidenza di Daniel Arap Moi (presidente del paese ininterrottamente dal 1978 al 2002) nel paese si sviluppò la preoccupazione che l’esecutivo influenzasse sempre più il settore giudiziario. Le elezioni del 2002, giudicate democratiche, aperte e sostanzialmente corrette dagli osservatori internazionali, furono vinte dall’Unione nazionale africana del Kenya (KANU); il presidente Mwai Kibaki rimase in carica fino ad aprile 2013, anno in cui le elezioni presidenziali furono vinte dalla coalizione costituita dai partiti The National Alliance of Kenya (TNA) e URP e Uhuru Kenyatta divenne Presidente (ancora oggi in carica).
A causa della povertà molto diffusa, frequenti sono gli atti di violenza che si verificano in Kenia.

Morire in difesa dell’ambiente

Nel paese ha sempre avuto molta rilevanza il tema della salvaguardia della natura. Molte persone, e fra queste anche alcuni esponenti di grande prestigio internazionale nella lotta per la salvaguardia mondiale dell’ambiente, negli ultimi decenni hanno condotto delle coraggiose battaglie per la tutela del suo importante e ricco patrimonio ambientale,  pagate in alcuni casi a caro prezzo con la vita. Infatti, nel 2018 l’ambientalista americano Esmond Bradley Martin, che si era opposto al commercio di avorio di elefante e del corno di rinoceronte praticato dai bracconieri e da trafficanti senza scrupoli, venne trovato accoltellato a morte nella sua casa di Nairobi. L’omicidio è rimasto irrisolto.

Poche settimane fa, il 16 luglio, è stata assassinata l’ambientalista Joannah Stutchbury, colpita con quattro colpi di arma da fuoco nel vialetto della sua casa nella città di Kiambu. Si batteva da anni contro la distruzione della foresta tropicale, era riuscita a salvaguardare la foresta di Kiambu, importante polmone verde del Kenya, opponendosi allo smantellamento e al land grabbing (accaparramento della terra da parte di grandi aziende o governi di altri paesi sviluppatosi maggiormente nel corso del primo decennio del XXI secolo), tutelando così le splendide foreste keniote dalle speculazioni di importanti investitori stranieri.

Il Transparency International (CPI), che pubblica i dati relativi all’indice di percezione della corruzione a livello mondiale, nel 2021 ha collocato il Kenya al 124° posto su 179 paesi, con un punteggio di 27/100.

Nonostante il Kenya sia tra i paesi dell’Africa orientale e centrale con l’economia più importante e più avanzata, nel 2019 l’indice di sviluppo umano (HDI) è stato di 0,601 punti, che lo colloca al 143° posto nella classifica dei 189 Paesi.

Gli ultimi dati relativi allo sviluppo economico del Kenya hanno registrato una importante crescita del settore del turismo, dell’istruzione superiore e delle telecomunicazioni, mentre il settore agricolo è uno dei meno efficienti e sviluppati.

Un progetto per migliorare le condizioni di lavoro delle comunità di pastori

Nel mese di luglio, ho viaggiato attraverso questo paese per documentare gli impatti sulla popolazione locale del progetto internazionale “Participatory Rangelands Management Project (PRM)”, finanziato dall’Unione Europea e realizzato da International Land Coalition, ILRI, in collaborazione con la ONG locale Reconcile.

Il progetto, che si inserisce nel programma mondiale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) e che fa ricorso anche a tecnologie e metodi di approccio di altri progetti di ILRI, studia azioni sistemiche per ottimizzare i ruoli economici, sociali e ambientali degli agricoltori e pastori locali.

Il progetto bottom-up sviluppa iniziative innovative per assistere i governi e altri attori nell’implementazione di politiche efficaci per: garantire i diritti di proprietà, ridurre i conflitti, realizzare una gestione inclusiva dei pascoli per una maggiore produttività e rafforzare i diritti alla terra e all’acqua. Inoltre il progetto prevede una quota di genere del 45% nei i comitati di gestione dei pascoli.

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