L’animale consapevole di Donald R. Griffin è un classico che mostra quanto una concezione meccanicistica dell’animale abbia ritardato scoperte importanti in sede etologica, riducendo in modo sconsiderato e pregiudizievole la complessità della mente, del comportamento e della cultura animali. Nel frattempo l’etologia ha dimostrato che gli animali disneyani sono più realistici degli automi cartesiani.

Gli animali sono in grado di percepire l’ambiente, di percepire gli stimoli e di reagire in modi unici e spesso imprevedibili. Hanno la capacità di apprendere, adattarsi e manifestare emozioni e coscienza. Sappiamo che possono tramandare una cultura specifica, l’uso di utensili ad esempio.

Sebbene alcuni aspetti del comportamento animale possano essere studiati e compresi con un approccio meccanicistico, è importante riconoscere che gli animali non funzionano semplicemente in base a una programmazione predeterminata. Al contrario, possiedono un livello di agency e di libero arbitrio che consente loro di prendere decisioni e di modellare il proprio comportamento in risposta all’ambiente. L’opera di Griffin ha permesso di aprire una breccia all’interno dello schema meccanicistico tradizionale.

Alla base di quel paradigma macchinico c’era e c’è un antropocentrismo che non si distingue di fatto da quello dello spiritualismo che lo ha preceduto. Ma la stessa cosa accade quando, nella linea che da La Mettrie conduce all’odierna neuromania, si pretende di vedere nell’estensione all’umanità degli stessi schemi interpretativi il superamento di quell’antropocentrismo, come se la riduzione macchinica della mente e dell’agency umana fosse la soluzione.

In realtà essa è parte del problema perché non solo non rimuove l’antropocentrismo pratico che caratterizza alla radice tutte le società umane ma addirittura ne rende impossibile la diagnosi e la demolizione. 
Non c’è sostanziale differenza tra la dissoluzione dell’umano in natura operata dal cinico positivista e quella del sognante hippy, entrambi incapaci di concepire l’unità e la differenza tra l’umano e il suo altro non in termini statico-cosali ma come divenire e come relazione e rapporto. 

Si preferisce silenziare la mente umana piuttosto che elevare quella animale al rango di soggetto perché in tal modo si sarebbe costretti ad affrontare i paradossi e le abissali conseguenze che ciò comporterebbe per la razionalità sociale in cui viviamo. È meglio cancellare ogni contraddizione e ogni conflitto piuttosto che ammettere che solo essi danno un senso alla libertà.
Consigliamo al lettore la visione di EO di Jerzy Skolimowsky, in cui la relazione commovente tra un umano e un asino aiuta a comprendere in che senso nel nostro modo di concepire la natura non umana sia in gioco la nostra stessa libertà.

Il film è stato presentato in concorso al Torino Film Festival 2022 e al Festival di Cannes 2022, dove si è aggiudicato il Premio della Giuria. Selezionato dalla Polonia per candidarlo come miglior film straniero agli Oscar 2023.

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