Allerta spoiler: non leggere questo articolo se non hai visto il film!

Premiato al Festival di Cannes per la Migliore Sceneggiatura firmata da Sakamoto Yuji, uscito in Italia il 19 agosto, la storia è narrata in tre modi diversi (ci ricorda la struttura di Rashomon di Akira Kurosawa): sono i punti di vista sui fatti della mamma di Minato, del suo professore e poi di Minato stesso, il protagonista preadolescente silenzioso e riservato. Questa struttura della sceneggiatura, musicata dal Premio Oscar Sakamoto, è la causa della grande suspense del film, perchè i fatti raccontati sembrano nascondere qualcosa di molto disturbante, ma, ad ogni cambio di prospettiva, siamo costrett* a riformulare i nostri giudizi e a confrontarci con la relatività della verità.

“L’innocenza”, il film

Minato ha perso il padre quando era piccolo e vive con la madre, impiegata in una stireria. Vittima di bullismo da parte di un professore violento, Minato è difeso con ostinazione dalla madre, la quale si scontra duramente con la preside dell’istituto, donna disumana e prona nel rispetto delle istituzioni. Eppure qualcosa non torna: Minato dice la verità o il suo professore è innocente? Minato è il bullo o il bullizzato? Ma forse, nemmeno questa è la domanda giusta, dato che, pian piano che la pellicola scorre, ci si accorge che la verità, quella vissuta e raccontata dai due, bullo e bullizzato, è lontata anni luce da ciò che abbiamo pensato, montando e smontando ipotesi, per tutto il film.

Se la tensione che aumenta in sala guardando le varie ricostruzioni dei fatti riguarda l’angoscia di non riuscire a mettere a fuoco il colpevole e le fantasie disturbanti su chi sia il mostro (titolo originale del film) e cosa stia commettendo, il colpo di scena è magistrale.

Una profonda amicizia

Mostri, bulli, colpevoli, crimini non esistono, ma sono solamente nella nostra interpretazione errata (e mostruosa) delle scene che, in realtà, raccontano di una profonda amicizia tra due bambini, entrambi alla scoperta della prima sessualità, turbati dall’intensità delle loro pulsioni, non dirette verso le compagnette di scuola ma covate all’interno del loro legame.

Attraversare quell’amicizia, quello sbocciare delle prime emozioni adulte, con la paura di essere mostri o malati (testa di maiale, dice il padre al figlio, mentre lo picchia per raddrizzarlo), di tradire le aspettative dei genitori o di non essere mai felici (Se solo alcuni possono averla, non è felicità, dice Fushimi – Tanaka Yûko – a Minato – Kurokawa Soya), ci permette di tornare a nostra volta bambine e bambini e ricordare quel momento magico che prelude all’adolescenza dove tutto è tempesta e noi siamo delicatissimi. Ma anche di accorgerci di quanto male facciamo, noi adulti e i nostri pregiudizi più o meno consapevoli, a chi è innocente e vuole solamente imparare l’amore.

120 minuti raccontano con garbo quanto sia pericoloso collaborare alla conservazione di un sistema (familiare, istituzionale, culturale) che impone modelli e standard invece di valorizzare le unicità di ognuna e ognuno di noi, o educare figlie e figli senza accoglierli con la loro natura piuttosto aiutandoli a far fiorire il loro talento. Un film che mette in imbarazzo la sicumera dei nostri punti di vista e di osservazione, mostrandoci da dentro come la verità sia poliedrica e che un punto di vista è solo la vista da un punto (Manifesto ReWriters).

Tanti i temi contemporanei, dal bullismo all’identità, dall’orientamento sessuale all’omofobia, dall’alcolismo alla violenza, ma anche il rapporto genitori-figli, insegnanti-alunni e genitori-insegnanti. Una bellissima lezione di vita, un’opportunità per specchiarsi nelle nostre paure e piccolezze e per diventare più consapevoli delle nostre responsabilità. Una regia, un montaggio, una sceneggiatura e una colonna sonora che sfiorano il capolavoro in termini di struttura, plot, suspense e poesia.

Del resto il cinema di Koreeda è da sempre concentrato sulle relazioni familiari, basti rivedere Still Walking, Like Father, Like Son e Un affare di famiglia, anche se qui viene in mente piuttosto Close (il film di Lukas Dhont dedicato alla fragile amicizia e attrazione fra due preadolescenti), dove, pure, c’è un legame inconfessabile violentato dallo stigma sociale, che per questo costringe a una serie tragica di bugie e incomprensioni.

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