È stato detto di recente che la politica ha abdicato al suo ruolo di formazione e guida collettiva, una politica che è follower del rigetto della massa indifferenziata costruita ad arte sui social, intrappolata dalla dittatura dell’algoritmo.
Tutto questo crea dinamiche in cui siamo immersi, il flusso d’informazione in cui come i pesci di Wallace non sappiamo di essere.
Ed è questo il tempo dell’ultima chiamata per la crisi climatica. Il dialogo salverà il mondo?
Forse è questa la domanda che rappresenta il film Alice e il sindaco di Nicolas Pariser. Anche qui, come ne l’Idiota, gli unici a vedere sono i pazzi, i beoti.
Ma a importarci è come questa bellezza venga messa in forma: un film molto alla francese, di parole; la mutazione che avviene nel quotidiano, e langue, la parte normativa, conservativa della politica. Un sindaco che non sa più pensare, in realtà si è dis-educato, segue una sinistra sprezzante che crea quelli che Laclau definiva significanti vuoti, riflesso di una politica della solitudine.

Così arriva la cura, Alice la filosofa, che ha l’arduo compito di permettere alle idee di tornare ad emergere.
Gli elementi del presente ci sono tutti: disintermediazione comunicativa, appiattimento sul presente, incapacità di gestire la complessità, proprio perché non la si pensa.
Qui emergono i  filoni del film: la riflessione sul significante vuoto del progresso (ora si chiama sviluppo sostenibile), la disseminazione molto ipertestuale di citazioni, soprattutto attraverso i libri.
La differenza fra sviluppo e progresso la si può far risalire a Pasolini, Antonioni e molti altri. In tempi più recenti Naomi Klein ha gattopardianamente affermato:

“Si cerca di il modo di cambiare senza che nulla cambi. Non si può, dobbiamo cambiare”.  


Ma cambiare un sistema complesso significa mutamenti radicali in molti ambiti, che poi è l’argomento generale di questa rubrica.
Due sono gli spunti che riprendiamo dal testo filmico e dai testi disseminati. Facendo una nota sulla modestia Alice cita vari autori tra cui Rousseau e Illich, il padre del contrattualismo democratico e l’ideatore del concetto di convivialità. Ciò che emerge come attuale è la necessità di aggiornare le democrazie sulla base della partecipazione e della gestione da parte dei cittadini dei principali strumenti che li riguardano, la convivialità appunto.
La lettura di questa nota sarà ciò che innescherà un cambiamento radicale; il sindaco, probabile candidato delle cosiddette forze progressiste, correrà alle primarie, ma per il tutto per tutto, provando a tratteggiare la direzione di un mondo nuovo. Questa eccentricità sarà mal pagata, ma lo spettatore è disamorato, non è uno spoiler. 
Infatti possiamo dire che scopo dell’opera non era effettivamente creare i presupposti per una narrazione positiva a oltranza, ma di creare altri eccentrici. Indicare la possibilità di una steady state economy in cui i nostri rapporti col debito, le risorse, i consumi siano mutati, in cui ciò che viene difesa è l’eccentricità come forma di resistenza; se siamo ordine che lotta con l’entropia, a beautiful glitch, useremo la nostra condizione per restare nella biocapacità e non diventare parte dell’entropia da cui proveniamo, per trovare ciò che è Cura, e dargli spazio. La Cura incarnata soprattutto da Alice, quella dell’eco-femminismo che guarda all’oikos che abitiamo e alla dimensione relazionale.
E infatti, in un finale aperto, Alice regala al sindaco un libro che apre nuove possibili considerazioni, Bartleby lo scrivano; per dire, insieme, we prefer not to.

Emanuele Akira Genovese per conto di Valeria Belardelli

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