La Tripoli (detta alla milanese) sempre elegante e sorridente, si è presentata (i nonni erano pasticcieri) con un vassoio di meravigliosi dolci fatti in casa, pieni e profumati… di tutto, di buono.
Siamo al tavolo della cucina, fuori piove, in padella i miei pomodori si litigano il basilico (quelli rossi, gli altri verdi: certo che se lo litigano!) sul piano di marmo ho già steso i “maccarruna”. Aspettiamo!
Vorrei chiederle, cosa ha fatto nelle settimane in cui non ci siamo né sentiti né visti, se è andata al cinema, come sta il suo gatto e come sarà il FIT in questo 2020; in attesa che rossi e verdi si mettano d’accordo (dubito) e che arrivino gli altri amici, approfitto per farle delle domande da donare a chi sta leggendo questo articolo, perché conoscere Paola è una bella occasione per ragionare sul lavoro di quelle persone, quelle donne, che producono cultura.

Che qualità dovrebbe avere la direttrice di un festival di Teatro? 
Passione, curiosità per il mondo, voglia di riflettere e un po’ di pazzia.
Voglio porre l’attenzione (di questi tempi non è scontato) al fatto che fare la “direttrice” è un mestiere che è necessario aver imparato a farlo col tempo e con l’esperienza: con lo studio o con tanta, tanta, tanta gavetta, magari al fianco di maestri.
Un idraulico (affinchè tutto funzioni) deve avere gli strumenti giusti, nozioni di ingegneria idraulica, saperne di pendenze, di vuoto e pieno.

Quand’è che capisci che è giusto scommettere/investire su un/una artista?  Quando quello che vedo in scena, anche se fosse la sua prima volta, mi parla delle necessità di fare e dire quello che vedo. Il talento e lo studio non bastano, a volte.

Cosa manca ai giovani artisti del nostro tempo?
Non so, l’umiltà, forse, anche se nel nostro settore (fatta qualche eccezione) mi pare che si incontri una “bella gioventù”. Certo, a loro favore, bisogna dire che stanno vivendo in un mondo devastato che annulla qualsiasi speranza verso il futuro. Noi siamo stati più fortunati. Non sono di quelle che da consigli, ma se dovessi farlo direi loro di “essere avidi di conoscenza”.

In base a cosa scegli gli spettacoli che ospiti al FIT?
Provo a dare spazio e tempo a quegli artisti che raccontano il mondo e cercano di cambiarlo. Ogni edizione è una storia complessa, dove ogni capitolo è scritto dai singoli artisti. Una storia che inizia col primo spettacolo e finisce con l’ultimo.
Un tema, di cui è necessario parlare, è quello che muove ogni edizione.

Quali sono le difficoltà di chi fa un lavoro come il tuo di generatrice di cultura e di pensiero? 
Difficoltà come per tutti. Viaggio spesso in auto e tutte le volte che passo un casello dell’autostrada mi ridico quanto sono fortunata… E’ il mestiere più bello del mondo, lamentarmi delle difficoltà sarebbe inopportuno. Potrei dirvi quante difficoltà ho avuto e ancora sto avendo per l’edizione 2020, ma sono poca cosa rispetto a quello che hanno fatto e fanno, operai, infermieri, badanti e così via dicendo. E’ retorico? Per me no.
Io, noi, abbiamo a che fare tanto con la ricerca del senso di vivere. Non posso volere di più.


Paola Tripoli è la direttrice artistica del Festival Internazionale del Teatro di Lugano; mi permetto di scrivere del suo lavoro perché non ho mai fatto parte del suo festival (se non come spettatore) e non lavoriamo insieme, ma abbiamo condiviso (oltre ai maccarruna) tanti pezzi di pane caldo, fatto in casa: è una cara amica.

Ecco, sono arrivati i nostri amici!
Ci salutiamo alla maniera del covid e accendo l’acqua. Paola guarda la tavola apparecchiata e sorridendomi mi fa capire che la prossima volta le devo fare il pane. Rossi e verdi a forza di soffriggere si sono pacificati nell’attesa di una scolata di pasta.
Ignari del futuro che sarà, siamo qui a sperare che la vicinanza ci aiuti a trovare umanità, nel frattempo io scrivo da drammaturgo di teatro e racconto di questo incontro che forse non c’è mai stato o forse è uno dei tanti che abbiamo fatto, con la gioia di condividere serate di parole e pensieri.
Sto calando i maccarruna nell’acqua, che bolle.

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