“Lo conobbi al Pireo. Ero andato al porto a imbarcarmi per Creta. Era quasi l’alba. Pioveva. Soffiava un forte scirocco, e gli spruzzi del mare arrivavano fino alla piccola taverna.”
Così inizia Zorba il greco.
Cerco di trovare una posizione più comoda per leggere. Non è facile, sono sdraiata su una spiaggia e piccoli noiosi sassolini premono contro la mia scapola.
“Pioveva, e vedevo i fili della pioggia che legavano il cielo al fango.”
Stupendo già dalle prime pagine. Mi metto seduta, ora va meglio. Davanti a me brilla la meravigliosa baia di Rodi che Anthony Quinn comprò nel 1961. Lo stesso attore interpretò il personaggio nella trasposizione cinematografica di Zorba il greco. Sono nel luogo giusto.
“Il mondo era per Zorba, come per i primi uomini, una visione compatta; le stelle lo sfioravano, il mare si frangeva contro le sue tempie; lui viveva, senza l’intervento deformante della ragione, la terra, le acque, gli animali, Dio.”
Vorrei essere come Zorba il greco. Vorrei vedere ogni giorno le cose come se fosse la prima volta. Vorrei stupirmi del sasso che rotola e pensare che nel suo rotolare diventi vivo.
Vorrei lasciarmi andare alla follia del sentimento, ballare quando ne ho voglia. Magari il Sirtaki, la danza tipica greca in realtà inventata dal grande compositore Mikīs Theodōrakīs nel 1964 proprio per il film di Zorba il greco.
“Mi sono spesso vergognato della mia vita, perché ho sorpreso la mia anima a non avere il coraggio di fare ciò che la suprema follia mi gridava di fare” .
Guardo intorno a me, una mamma sta infilando i braccioli a suo figlio, più in là una coppia si spalma la crema, nell’acqua tre ragazze giocano a palla. Potrei cantare a voce alta.
Quando ero piccola mia madre lo faceva. Lei cantava a voce alta con il suo forte accento francese camminando per i vicoli di Roma. Io mi vergognavo moltissimo. Le tiravo la mano, le dicevo di smetterla, ma lei alzava ancora di più la voce. Io allora rallentavo, rimanevo qualche passo indietro, giusto quella distanza che mi avrebbe dovuto preservare dal non essere associata a quell’attimo di follia.
Ora dovrei fermare il cervello e tutte le costruzioni che vi si sono appiccicate. Dovrei essere coraggiosa come mia madre e cantare a squarciagola.
“Anche per me, elogio alla follia
Mi salverà con garbo e maestria
Lei sì, lei sì, con la sua ascetica impudenza
Accanto a me lotta per la sopravvivenza”
La canzone del grande Bennato rimbomba nella mia testa ma non riesce a valicare le labbra. In silenzio abbasso la testa e riprendo la lettura.
Nikos Kazantzakis Zorba il greco 1946
Edoardo Bennato Elogio alla follia 1995