Sono gli amori diversi quelli che restano dentro…”. Il mio incontro con il Gazza Ladra é esattamente questo. L’ho conosciuto in una manifestazione alla Stazione Leopolda di Firenze più o meno 4 anni fa.  Ero a girovagare tra tavoli e glacette, assaggiando e parlando con chi gentilmente mi riempiva il bicchiere. Poi all’improvviso mi sono imbattuta, quasi alla fine del pomeriggio, con un’immagine che evocava l’opera di Rossini. Non ho esitato neanche un secondo e ho chiesto, prima di qualsiasi altro convenevole, di averne un pochino nel calice. L’ho guardato mentre bagnava le pareti di vetro e con gioia ho visto le bollicine che rompevano, come dei microscopici pois, il colore chiaro. Ho respirato per un attimo quelle note acide e poi ho capito che era quello che volevo. Perché certi amori devono essere leggeri, divertenti, senza l’impegno di un domani. Si prendono lo spazio del momento, senza regole e con la sola voglia di regalare se stessi per la gioia di farlo. Secondo me, questo é il vero senso del vino rifermentato. Un pochino di controllo e tanta pazzia. Come se la prima parte servisse solo ad arrivare alla seconda. Un po’ di sana invidia per questa libertà di arrivare oltre agli schemi.

Lo so! Sto solo parlando di un vino, ma che comunque ha cambiato la mia prospettiva. Non ha annullato la mia dedizione per i metodi classici, ma mi ha aperto lo spazio per un modo diverso di bere. Ancora oggi, che questa tipologia di vino rifermentato è molto prodotta, molti storcono il naso al solo sentirne parlare. Allora io prendo il mio Gazza Ladra, levo con decisione il suo tappo a corona, lo verso come fosse un regalo e aspetto di vedere gli occhi di chi mi sta davanti. Un po’ come portare ad una cena un amico gay o un’amica di colore. La strana paura del diverso. Finita la cena non ci sono più differenze, ma persone sorprendenti. Così come dopo il primo bicchiere, ci si accorge che una bottiglia é troppo poco per così tanta piacevolezza. 

Eleonora Rossini, che é la proprietaria della Fattoria di Piccaratico a Vinci, nonché di questa etichetta di vino rifermentato, ricorda ancora il nostro primo incontro. La velocità con la quale mi sono innamorata e la forma contagiosa che mi ha provocato. Da allora l’etichetta é stata cambiata, abbandonando Rossini per lasciare il posto ad una pennellata tra il celeste ed il verde, che attraversa il bianco del fondo, ma non il modo con cui viene prodotto.

Il metodo: quei santi lieviti!

La prima fermentazione é  controllata e il proseguimento in bottiglia. Ma la cosa più intrigante, sono quei santi lieviti che stanno lì dentro fino alla fine, finché non sono esausti ( io lo sono naturalmente!). Ti avvisano quando stai per finire la bottiglia, facendo capolino nel bicchiere. Sono loro che donano il carattere alla struttura del trebbiano. Una curiosità sul nome di questa fattoria che appartiene agli stessi proprietari dalla fine dell’800. Sembra che il nome sia da attribuire ad Annibale che durante il suo percorso di conquista, sia passato da questo passo carratico. Con la fantasia, avrebbe potuto prendersi una bottiglia e portarla ai Romani. Sono certa che sarebbero rimasti stupiti nel sentire, loro che sono stati maestri nella fermentare qualsiasi cosa a base di uva, un vino come questo.

Per acquisti: fattoria di Piccaratico

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