Non sono un fan del veganesimo. Non potrei mai essere vegano e nemmeno vegetariano: amo troppo la carne e i derivati dell’allevamento animale, come formaggi e uova. Eppure, sono consapevole che invece di avversarli e irriderli come fanno molti, dovrei rendere grazie a vegani e vegetariani.

Perché con le loro abitudini alimentari impattano molto meno di me sull’ambiente e perché è anche grazie a loro (l’Eurispes ha calcolato che solo in Italia sono l’8,9% della popolazione; quanto alle stime mondiali, non molto aggiornate, risultano essere 375 milioni) che persone come me possono permettersi un alto (ma non altissimo: anche io ho una coscienza!) consumo di carne e di prodotti da allevamenti. Infatti, è anche per la presenza di tanti vegani e vegetariani che la media dell’impatto dei nostri consumi sull’ambiente viene fortemente ridotta.

Inoltre, proprio grazie all’approccio vegano e vegetariano, stanno cambiando molte abitudini alimentari e non pochi modelli produttivi.

Se tutti mangiassimo carne, formaggi e uova in gran quantità – se tutti adottassimo ad esempio lo stile alimentare maggioritario negli Stati Uniti – le emissioni di CO2 derivanti dalle produzioni agricole aumenterebbero ancora di più, arrivando a livelli insostenibili, senza contare gli altri numerosi danni ambientali (disboscamenti, consumo di suolo, avvelenamento delle falde, malessere degli animali, ecc.) provocati dall’allevamento, specialmente da quello intensivo, reso necessario da una domanda molto elevata di carne e derivati animali.

Ad esempio, Jeremy Rifkin (Un Green New Deal Globale, ed. it. Milano, Mondadori, p. 101) riporta che, “rispetto alla produzione di comuni fonti proteiche vegetali, la carne bovina e di altri ruminanti richiede, per unità di proteine consumate, oltre venti volte più terra e causa l’emissione di oltre venti volte più gas serra dei legumi”.

Per queste ragioni, anche chi non intende abbracciare la scelta vegetariana e vegana dovrebbe almeno ridurre il consumo di carne, specialmente di carne rossa, che peraltro non fa neanche bene alla nostra salute.

E a fronte di queste premesse, ormai di dominio pubblico e non contestabili, cosa fa l’Unione europea? Quell’Unione europea che intraprende iniziative come il Green New Deal e Farm to fork e che mette al centro delle proprie politiche la tutela dell’ambiente, proprio lei, decide di investire una discreta quantità di fondi pubblici in una campagna che incentiva il consumo di carne di manzo. Esattamente. Avete capito bene.

Lo slogan? È emblematico e anche efficace, direi: “Become a beeefatarian!”

La campagna, che risale a circa due anni fa, è stata attivata in cinque Stati membri: Belgio, Francia, Germania, Portogallo e Spagna. In Italia ha ottenuto visibilità solo in questi mesi. È costata 3,6 milioni di euro e, come detto, invita i cittadini europei a mangiare più carne, anzi a “incentivare il consumo di carne bovina”. C’è anche un video

Eppure, è risaputo che se vogliamo ridurre le emissioni e contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi entro il 2030 l’unica strada è quella di ridurre il consumo di carne (ecco l’ultimo studio pubblicato da Science). Interessante anche il peak meat fissato nel 2030 da un gruppo di scienziati su Lancet, secondo il quale dopo quella data dovranno essere adottati provvedimenti per far calare progressivamente il consumo di carne a livello globale a meno di non pagare costi salatissimi in termini di inquinamento e non solo.

Ecco perché l’iniziativa dell’Ue è a dir poco scriteriata e piuttosto miope. Per fortuna è stata oggetto di numerose critiche da più parti.

Sul tema del consumo di carne in Italia, peraltro, consiglio vivamente di guardare la puntata di Presa Diretta dell’8 febbraio 2021, in special modo la seconda parte, dedicata alla provenienza e all’etichettature delle carni che compriamo abitualmente al supermercato.

Ma soprattutto, di fronte alla problematica in questione (consumare o no la carne?) mi pare che occorra avere un approccio di maggiore buon senso, maggiore attenzione verso il mondo in cui viviamo e maggiore consapevolezza delle conseguenze derivanti dalle nostre azioni.

Per queste ragioni, è condivisibile la battaglia di Slow Food (Slow Meat) che suggerisce di consumare meno carne, prediligendo quella buona, ossia carne di qualità, non proveniente da allevamenti intensivi, secondo pratiche di allevamento rispettose dell’ambiente e del benessere degli animali.

Tutto ciò premesso, non posso non condividere questo approccio, suggerendovi, nel mio piccolo, di ridurre il consumo di carne, scegliendo quella di qualità: comprandola dal macellaio, magari chiedendone la provenienza, verificando che sia prodotta e allevata in Italia o nel territorio limitrofo a dove la comprate, acquistando la carne biologica, con certificato di garanzia. Sicuramente la pagherete di più, me vedrete che sarà anche più buona; in ogni caso credo sia fortemente sconsigliabile divenire beefatariani!

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