1961: Gay? Vade retro!

“Non mi dire chi sei. Il nome che hai a me non importa. Adesso che sei qui desidero che tu rimanga accanto a me oltre la vita. Non mi dire chi sei, se il nome che hai ci può separare. Da oggi, se tu vuoi, fin tanto che vorrai saremo solo io e te”

Umberto Bindi inizia con queste parole la sua partecipazione a Sanremo 1961 con il brano Non mi dire chi sei.

A quel festival ebbe l’ardire di presentarsi con una pelliccia di foca foderata di visone, orologio, un anello vistoso, bottoni della camicia e gemelli di brillanti. Fu soprattutto l’anello che destò, molto più della canzone, l’interesse della stampa e dei telespettatori. Umberto Bindi portava quell’anello al mignolo destro e quindi doveva essere gay. Comincia il chiacchiericcio. Della musica di Bindi non si parla più. Da quel momento inizia il suo allontanamento dai palcoscenici importanti. Il suo nome inizia ad essere pronunciato come parafrasi di qualcosa di cui vergognarsi.

Bindi a suo modo voleva parlare di sé. Le parole della sua canzone parlano di un amore che ci può separare ma che non ha paura di vivere.

Negli anni precedenti, la sua brillante vena compositiva lo avevano portato a raggiungere l’apice della fama: secondo a Canzonissima nel 1959 con Arrivederci e in testa alle classifiche di vendita per 10 settimane consecutive con Il nostro concerto. E’ bastato un anello a far dimenticare al suo pubblico la bellezza della sua musica e a far prevalere lo stigma.

Bindi era omosessuale ma riuscì a fare coming out ufficialmente solo nel 1988, in lacrime, durante una puntata del Maurizio Costanzo Show, raccontando del calvario che aveva subito dal 1961 in poi.

1978: Gay? Trasgressione

17 anni dopo si ritorna a parlare di omosessualità, ma i tempi sono cambiati: sono arrivati sulle scene David Bowie, il glam rock, e in Italia Renato Zero. Sul palco fa la sua apparizione Anna Oxa, con Un’emozione da poco, canzone, in fondo classica, scritta da Ivano Fossati che nulla ha a che fare con l’orientamento sessuale. Ma ciò che colpisce della Oxa è la mise en scène ideata per lei da Ivan Cattaneo: abito, taglio di capelli e movenze maschili, trucco punk.

Ad interpretare la gender fluidity per la prima volta sul palco di Sanremo 1991, una straordinaria Grace Jones, abbinata a Renato Zero per la versione in inglese di Spalle al muro, Still Life. Si presenta nella prima serata en travesti come un baffuto ragazzo e nella seconda, all’opposto, come una femme fatale.

1996: Gay? Storytelling!

Bisogna aspettare il 1996 per avere una canzone che trattasse direttamente e raccontasse in prima persona una storia di una persona LGBT. Accade con Federico Salvatore e la sua Sulla Porta.

«Mamma’ son qui con le valigie sulla porta/ e in macchina c’è un uomo che mi sta ad aspettare/ la verità lo so ti lascerà sconvolta/ quell’uomo è il mio primo vero amore»

Il testo fu ritenuto comunque sconveniente. La Rai decise di censurarne un verso, solo per la diretta tv:
«Sono un diverso, mamma, un omosessuale», fu riscritto in «Sono un diverso, mamma e questo ti fa male».
Una storia comunque di sofferenza, di fuga, di lacerazione.

In quei 18 anni diversi tentativi di approccio al tema, più o meno espliciti, più o meno evidenti, erano stati fatti a intervalli regolari. Da Uomini soli dei Pooh, a Gli amori diversi interpretata da Rossana Casale e Grazia Di Michele.

La svolta vera arriva a partire dall’edizione del 2008. Ben 2 canzoni in gara!

La prima: Il mio amico di Anna Tatangelo, la prima canzone a parlare, nonostante qualche caduta nello stereotipo, attraverso le parole di una persona gay friendly (a Roma diremmo “una frociarola”).

“Il mio amico che non dorme mai di notte, resta sveglio fino a quando fa mattina, con il viso stanco e ancora un po’ di trucco, lascia i sogni chiusi dentro ad un cuscino. Il mio amico ha molta luce dentro gli occhi per guardare chi non c’è. Fa di tutto per assomigliarmi tanto. Vuole amare come me ma poi si chiude dentro sé”

E poi Ore ed Ore di Valeria Vaglio, la prima vera canzone a raccontare di un amore omosessuale, senza patemi d’animo, senza paure, senza macchietta o stereotipi.

“E intanto il vento fa rumore tra i fori delle mie catene. Dio fa che ritorni il sole che senza lei non so più stare. E non mi basta ricordare e far l’amore ore ed ore. E già iniziava a nevicare e il nostro letto all’improvviso si trasformò in altare”.

Nel 2013 è la volta di Renzo Rubino che con la sua Il Postino rivendica la legittimità del desiderio omoerotico.

“Amami uomo con le mani da uomo e toccami fiero con un soffio leggero. Bello di mamma, tosto macio per papà, l’uomo senza curve un donnone sposerà”

2020: Gay? Si può!

E’ solo di un anno fa la spettacolare messa in scena organizzata da Achille Lauro e il suo team, insieme al direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele: quattro uscite per altrettante serate all’insegna del me ne frego.

Achille interpreta quattro personaggi storici scegliendoli tra chi “se n’è fregato” delle convenzioni, soprattutto dei ruoli e degli stereotipi di genere: San Francesco da Assisi, David Bowie, la marchesa Casati Stampa, Elisabetta I d’Inghilterra. Scrive Achille Lauro su Instagram dopo una delle serata a Sanremo 2020: “Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo. L’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto. Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza.”

E quest’anno? Aree fondamentaliste rappresentate dal magazine online La nuova bussola quotidiana hanno trovato il loro bersaglio: il palermitano Jo Conti che con la sua Madre non madre ha raccontato a Casa Sanremo della sua storia famigliare e della madre, fervente geovista, che lo cacciò di casa perché gay.
E dal concorso ufficiale Arisa include nel video della sua  Potevi fare di più un bacio appassionato tra due donne.

1961-2021: 60 anni di Sanremo. Una vita di una generazione. Il tempo necessario per passare dal destino infame toccato a Bindi alle celebrazione della diversità come possibilità di espressione!

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