Combattere il mostro dell’anoressia con, ma soprattutto per, una figlia. A sfidare l’inferno è Roberta Bonetti, 48 anni, infermiera anconetana. Occhi lucidi dietro a un paio di occhiali, accanto c’è la sua primogenita appena 19enne. 

“Perché proprio a noi? Beh, potrei dire perché non a noi. Forse tutto questo è servito a farci capire come siamo e, credo, a far capire a mia figlia che su di me può sempre contare. Fosse l’ultimo cosa che faccio, ne usciamo”.

Quegli occhi lucidi danno sfogo a un pianto. Sullo sfondo risuonano le note di Hold my hand. Non un caso.

Il problema, il percorso, la paura

“Ho capito che mia figlia aveva un problema quasi all’inizio, l’ha mascherato bene finché è stata lei stessa a chiedermi di essere aiutata. E’ iniziato tutto un paio di anni fa, il percorso è lungo e difficile, ma credo che vivrò sempre con la paura che questa cosa si possa ripresentare pesantemente”.

Il mondo di Roberta è iniziato a crollare quando ha sentito quelle parole:

“Mamma, comincio la dieta”.

“Pensavo che lasciasse dopo un paio di giorni, anche perché essendo sportiva non ne aveva bisogno. Invece non si stancava, anzi, andava sempre più in fondo”.

Oltre al cibo, iniziavano gli atteggiamenti di chiusura verso i genitori e verso il mondo. Anoressia: un mostro sconosciuto finora in famiglia:
“Non conoscevo neppure nessuno con questo problema, ne parlavo al lavoro perché mi vedevano giù, poi ne parlavo con mia cugina. Più che ascoltare, però, le altre persone non possono fare nulla. Chi non lo vive non può capire”.

La sensazione di mamma Roberta è sempre stata quella di impotenza, ma anche rabbia. Una domanda che risuona, tuttora, è
“Ma cosa manca a questa ragazza? E’ bella, brava a scuola, non le manca nulla, in casa nono sono mai stata un ‘tenente’ che impone regole rigide – spiega – la rabbia invece era dovuta alla sensazione di sbagliare tutto e di non sapere cosa succede domani. Se i tuoi figli non li vedi felici, stai male”.

Già, il plurale. Perché in casa c’è anche un altro figlio:
“Avevo paura di togliere qualcosa a lui, anche se in una famiglia cerchi di compensare e aiutare l’anello più debole. Non diceva nulla della malattia, non voleva sapere nulla perché faceva male anche a lui, ma abbracciava sempre la sorella”.

Roberta ha preferito lasciare il lavoro:
“Facendo l’infermiera non posso permettermi di fare errori, perciò sono stata a casa perché la priorità era lottare. Nei periodi bui cercavo qualcuno che mi dicesse che ce la potevo fare. Vorrei essere una voce per i genitori coinvolti in tutto questo e dire loro che è la cosa più difficile del mondo, ma ce la possiamo fare. Non c’era invece nessuno in grado di incoraggiarmi e dirmi cose belle. Allo stesso tempo volevo approfondire, informarmi, vedere in faccia questo mostro”.

Anoressia. Farsi aiutare dalle persone giuste

Oggi come sta Roberta?
“Sono un po’ più serena”.

E lei?
“Mia figlia sta meglio, ma il percorso è lungo. L’importante è farsi aiutare dalle persone giuste, che lavorano insieme per uno stesso scopo. Il messaggio che voglio mandare ai genitori che non ci credono abbastanza è che il buio è forte, ma la luce poi esce e diventa sempre più bella. Finché tutto, un giorno, non sarà diventato un ricordo”.

Segui qui l’intervista integrale!

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