Chi mai vorrebbe rimettersi a imparare a memoria le poesie o le tabelline? Una noia mortale! Fortuna che anni di rivoluzione culturale hanno definitivamente rimosso dalla scuola quella noiosa eredità della cultura patriarcale pastorale e contadina tradotta in approccio al sapere che metteva al centro della didattica la semplice ripetizione ed acquisizione mnemonica, senza troppa cura per la comprensione profonda e l’elaborazione creativa dei contenuti. Evviva!

Certo se penso cosa ha costruito davvero in me il senso della giustizia e della ripulsa per la guerra, più che altro sono stati i racconti di mia mamma, del mio babbo e di mia nonna, quando da bambino c’era tempo e voglia di ascoltarli (che sembra assurdo oggi ma non c’era la televisione). Racconti ripetuti cento volte, come si fa nelle culture di tradizione orale, quelli in cui il racconto non è solo in terza persona, ma diventa diretto con i personaggi che parlano tra loro e ti trovi improvvisamente trasportato a quel tempo immerso in una memoria che non rimane lontana ma diventa la tua storia.

Oggi la parola memoria non piace proprio più a nessuno, né agli scolari, cui comunque ormai non si chiede più nulla a memoria, né ai grandi, per cui il nuovo che avanza deve essere libero dai lacci e lacciuoli dell’ingombrante passato. Evviva?

L’altro giorno un’amica mi manda il link ad una visita al Peace Memorial Museum di Hiroshima in diretta su instagram sul canale @nunclearban di ICAN, la campagna per l’abolizione delle armi nucleari Premio Nobel per la Pace nel 2017. In questi tempi sospesi ho imparato a girare per il mondo così. E così incontro Mary, una giovane attivista di ICAN che con forza e leggerezza mi/ci porta al giorno della bomba, 6 agosto 1945, esattamente settantacinque anni fa. E due giorni dopo Nagasaki.

La vita scorreva come in ogni altro luogo a quel tempo; i bimbi a scuola, i vecchi in giro, le donne a lavoro, mentre gli uomini in età ancora al fronte di una guerra ormai strafinita. BUM. L’esplosione. La palla di fuoco. La ricaduta radioattiva. Il dolore. Lo sgomento. Le conseguenze durature.

Mary ha la voce ferma e gli occhi luminosi delle persone che hanno una missione. Sa che la memoria serve solo se è viva e se pretende la nostra azione.
ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, ma anche, con un gioco di acronimo, I can, Io Posso) è stata insignita del Premio Nobel per la Pace perché è dalla spinta dei cittadini del mondo riuniti in ICAN che l’ONU ha votato per la prima volta nella storia il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW) nel 2017.
Il Trattato è stato già firmato da 80 stati e ratificato da 35, ma da nessuno dei paesi possessori di armi nucleari o dipendenti da esse, tra cui l’Italia.

Mary dice che noi persone umane abbiamo già bandito le mine antiuomo e le armi chimiche e possiamo fare altrettanto per le armi nucleari. Basterebbe che i pochi paesi possessori decidessero di abbandonare i programmi nucleari perché l’umanità possa liberarsi definitivamente della loro paura. E sono pochissimi gli scienziati in grado di lavorarci su. Anche per loro basterebbe prendere la decisione di smettere e non trasmettere il loro sapere. Ma perché tale decisione sia presa “è essenziale riunire insieme le varie espressioni della volontà popolare globale che la sostengono […] al di là delle differenze di nazionalità o ideologia”. In Italia sono già molte le associazioni e le iniziative che sostengono la campagna ICAN, tra cui Senzatomica, Pax Christi, la Rete Italiana per il Disarmo ed il sostegno sta crescendo. Anche le città possono aderire, come già hanno fatto Washington e Parigi, coraggiose capitali di stati nucleari, e Berlino, Oslo e Canberra, tra le capitali di stati dipendenti dal nucleare. Siamo ad un passo da una conquista storica. Costruiamo l’adesione di Roma e dell’Italia. Siamo ad un passo da una conquista storica. Viva la Memoria!

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