Ancora Venezia. Ne ho scritto l’anno scorso, ricordando l’opera di Jeremy Deller nella quale un William Morris gigante scaglia via dalla laguna lo yacht di Roman Abramovich (questo, prima della guerra).

Ne sono tornata da poco, reduce da una Mostra del Cinema interessante e frenetica che mi ha fatto davvero perdere le staffe solo quando Oliver Stone è piombato al Lido – in piena campagna elettorale – a ripetere la propaganda nuclearista, per la quale tutto deve cambiare perché tutto resti come prima. Io a Venezia le voglio bene. Voglio bene alla Venezia che emerge dai documentari di Andrea Segre (Il pianeta in mare, Molecole), ai piccoli spazi rimasti da vivere.

Nella mia mente Venezia è anche la capitale della cli-fi. Il punto dove l’intersezione fra ingiustizia climatica e ingiustizia sociale è più evidente.

Quando attraverso il Canal Grande, da Piazzale Roma ai Giardini, mi viene da pensare a un saggio del 2011 di Andy C. Pratt del King’s College dal titolo Le contraddizioni culturali della città creativa, la cui sintesi è: le città d’arte oggi vengono brandizzate e vendute dalle amministrazioni locali per attrarre i soldi della borghesia medio-alta, mentre gli abitanti originari (soprattutto se working class o precari) vengono costretti sempre più a decentrarsi per lasciare pulito il salotto buono.

Anche la mia Bologna, seppure in piccolo rispetto a una Londra o una Firenze, sta passando attraverso questo triste momento: l’etichetta con cui viene venduta è City of food. A Venezia la situazione è perfino peggio che a Firenze: la città di San Marco non è stata solo gentrificata, è stata turistificata.

La questione è iniziata negli anni Sessanta, con la società dei consumi e i negozi di gadget (di trappole, direbbe sprezzante mia madre). “Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio” cantava Guccini a proposito della sfortunata sua parente morta di parto nella città lagunare.

Poi, come Firenze, il centro si è riempito di ristoranti, alberghi e occasioni gastronomiche care. Passo dopo passo quello stesso spazio si è trasformato in una bolla, un parco giochi storico.

Le ultime novità sono che dal 2023 gli abitanti dovranno denunciare amici e parenti che li vanno a trovare, se non lo fanno saranno tenuti a pagare il contributo d’accesso. Eh beh, l’ingresso a Mirabilandia si paga.

Oltre a questo, come dicevamo anche nell’articolo su William Morris e Deller, Venezia è bella ma è anche incredibilmente fragile dal punto di vista climatico. Mi ricorda quel racconto della Boutique del Mistero di Dino Buzzati che si intitola Eppure bussano alla porta: una famiglia di ricchi non vuole vedere che il fiume presto gli inonderà casa e probabilmente li ucciderà tutti. La classica metafora buzzatiana della morte ben si addice a un luogo in cui dal turismo nasce molta ricchezza, ma in cui d’altro canto ci si dovrebbe preoccupare molto di più sia degli effetti del cambiamento climatico sia della capacità di sopportazione del MOSE.

Eppure Venezia è anche un luogo per molti versi deliziosamente anacronistico.

I vaporetti non sono veloci come le macchine, la lentezza a Venezia va accettata come la si accettava secoli fa (a meno che uno non abbia il suo motoscafo). I ragazzi e le ragazze locali, come avviene nel film di Yuri Ancarani Atlantide, desiderano il barchino e non il motorino.

Segre, in Molecole, ci mostra due ragazze che, invece di andare in bicicletta, remano. La Venezia vissuta – che quella turistica si sta lentamente mangiando ma che ancora esiste – mostra un modo alternativo di fare le cose di tutti i giorni come nessun’altra città italiana riesce a fare.

Ecco perché nella mia testa è la capitale del cli-fi. Per le calli di Venezia scorrono milioni di storie ancora non scritte.

Non devo essere l’unica a pensarla così dato che il Centro Universitario Teatrale di Venezia Shylock ha indetto un concorso di comunicazione e creatività dove il tema sono i cambiamenti climatici. Scade il 30 settembre.

Il concorso riguarda la scrittura ma anche altri mezzi espressivi e la giuria comprende nomi importanti del giornalismo italiano, rappresentanze del WWF, del Centro Euromediterraneo Cambiamenti Climatici, di ISDE Italia – Medici per l’Ambiente, di INWARD – Osservatorio sulla creatività urbana, del mondo accademico italiano e internazionale – come Serenella Iovino dalla University of North Carolina. Il concorso è patrocinato anche da Legambiente e dal MITE.

L’evento finale si svolgerà a Venezia giovedì 1 dicembre 2022 e vi parteciperanno il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana e altri rappresentanti del mondo culturale e scientifico.

Per informazioni e dettagli sul bando del concorso basta andare sul sito dell’Università Ca’ Foscari.

“Se gli altri possono vederlo come lo vedo io, allora più che di sogno si può parlare di visione”.

Così William Morris conclude il suo News from Nowhere. Ed è esattamente questo il punto di iniziative del genere: esporre la crisi climatica tramite l’immaginario per farla vedere agli altri. Trasformare in visione concreta quello che oggi a molti – soprattutto, mi duole dirlo, in Italia dove un discorso davvero ecologista non solo non viene amplificato come dovrebbe ma viene anche spesso deriso o travisato – sembra politica utopistica.

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