Prestigioso regista di teatro, amante anche dello schermo, Juan Diego Puerta Lopez –indicato recentemente da un sondaggio popolare tra i plausibili direttori del Piccolo di Milano – ha girato il corto TRENTACINQUE – numero provvisorio, che, dopo numerosi itinerari internazionali sta per approdare in Italia al Ortigia Film Festival , al Social World Film Festival e a Venezia.
Con che motivazione tu e il collega Di Cosimo avete dato vita al film?
“Questo cortometraggio nasce dalla collaborazione con un altro regista, Alessio Di Cosimo, TRENTACINQUE è il numero delle trans uccise negli ultimi anni in Italia, la tematica dei transessuali mi incuriosiva da tempo, avevo scritto una sceneggiatura dove uno dei protagonisti era transessuale in Colombia, aveva a una scuola per trans, e mi sono molto appassionato a questo mondo notturno, molte volte composto di disperazione e solitudine.
Con Alessio Di Cosimo abbiamo voluto incentrare il tutto sulla denuncia verso la transfobia.
Oggi se ne parla poco, ma c’è molta sofferenza, esclusione dal mondo sociale, dal lavoro, che costringe alla prostituzione a causa del rifiuto, della discriminazione, spesso con storie di una crudeltà allucinante, di una violenza surreale. C’è un protagonista che incontra un trans, ci passa una notte, poi arrivano i sensi di colpa. In Italia è una pratica diffusissima, ma negata. Generalmente sono uomini che cercano la dominanza fisica da una trans – come mi raccontano tanti trans – ma poi a volte non accettano questa scelta, negano forse il desiderio di un uomo mascherato sotto quello di un corpo di donna? In tanti casi chi è omofobo o transfobico dentro ha qualcosa di non risolto, represso; ne ho conosciuti tanti. La loro non accettazione fa colpire l’altro come un nemico che infastidisce e genera violenza“.
Chi vi ha supportato in una impresa di questo tipo?
“È un prodotto indipendente, ognuno ha messo esperienza, professionalità e soldi, tanti professionisti, gli attori, direttore della fotografia, montaggio, post produzione sono venuti incontro al progetto chiedendo molto meno di quanto facciano di solito; questa unione artistica di collaboratori ha fatto sì che ognuno desse il meglio di sé, la sinergia di persone che credono ai sogni che possano diventare realtà. Ne è nato un piccolo gioiello che ci ha dato enormi soddisfazioni e spero ne riceverà ancora, grazie al coraggio di andare fino in fondo. E’ stato presentato alla Rai, lo ha comprato, l’interesse di Rai Channel è stato inaspettato”.
Questi giorni discutiamo in Parlamento una legge contro omo e transofobia, la ritieni necessaria o condividi il punto di vista di chi lo vede un potenziale indebolimento dei soggetti in questione?
“Credo sia giusto creare una legge che tuteli omosessuali e transessuali, mi pare assurdo che in Italia nel 2020 ancora non esista. Penso sia giusto che i militanti di movimenti e associazioni a tema lottino per la dignità umana di queste persone; penso che l’arte sia un mezzo di comunicazione importante per sviluppare la sensibilità delle persone, la fine di questo cortometraggio, per esempio, resta come un pugno nello stomaco. L’arte crea delle domande e delle curiosità, in cui ognuno crea la sua propria risposta, ha questo dovere: provare a cambiare le mentalità nel mondo. Sono felice che si torni a discutere di questa legge; è una responsabilità anche per le scuole, soprattutto i giovani dovrebbero essere sensibilizzati per legge, senza tabù, ma nel luogo di confronto. Esseri umani che guardano esseri umani, non per le loro scelte sessuali”.
Oggi dove è per te il teatro?
“Il teatro è il primo amore, una esperienza unica, mi ha metaforicamente salvato la vita, ho cominciato a 14 anni, mi ha portato fuori da un mondo di guerra, narcotraffico, troppo lungo da raccontare, ma quando mi sono innamorato del teatro e sono entrato in una compagnia sono uscito da quella realtà di violenza e ho capito che il mondo può cambiare, sta a noi sognare o meno. In questi anni mi sono dedicato molto agli attori, quando sono dietro una macchina da presa è diverso, ma amo entrambi i mezzi, perché permettono di sviluppare una idea creativa in immagine metaforica. Un percorso lungo, bello, di grande soddisfazione. Senza teatro e cinema non potrei vivere, sono vocazione e scelta di vita, lì mi sento realizzato, lì comunico con il mondo. Il distanziamento sociale ha creato immenso disagio per tutte le professioni del teatro, chi manteneva così la famiglia ha visto saltare tutto. A livello creativo stiamo provando a reinventarci con queste nuove esigenze: meno pubblico, forme rinnovate da valutare, perché questo lavoro è stato colpito più di tanti altri. Bisogna ritrovare dentro noi stessi la forza di restare nella creatività, fare sì che non muoia, essere pronti a una rinascita, nuovi ulteriori spettatori, sono fiducioso che ci riusciremo. I risultati si ottengono collaborando, la materia c’è per proposte intraprendenti creativamente. Questo ci condanna a restare l’ultima ruota, perché noi stessi non lottiamo per creare un sistema di unione e collaborazione tra colleghi, indipendentemente dal lavoro di ciascuno. Questo individualismo, questa mancanza di identità di gruppo conviene al sistema, ci rende manipolabili, indebolisce anche i finanziamenti. E’ tempo che i soliti nomi scendano dal piedistallo ascoltando una pluralità di voci.