La vastità del mare suscita sempre sentimenti differenti in chiunque lo guardi. Su ciò influisce il punto di vista dei suoi osservatori, il loro background culturale, ma anche quello che stanno vivendo nel loro presente. Ad esempio per chi come me è nato nel cuore della Pianura Padana il mare oggi rappresenta probabilmente un punto di arrivo, meta spensieratamente ambìta per un fine settimana o per un’intera vacanza. Per alcuni donne e uomini nati in Africa, di cui le cronache di questi ultimi giorni si sono dovute occupare, esso rappresenta invece un punto di partenza; l’inizio di un viaggio del quale povertà e disperazione ne offuscano i pericoli. Dentro le storie di chi parte lasciandosi alle spalle tutto, nella speranza di costruire per sé e per i propri cari un futuro migliore, anni di polemiche politiche e di dati su aumenti o diminuzioni degli sbarchi, hanno corso il rischio di farci dimenticare che chi arriva o perde la vita nel tentativo di entrare in Europa ha un nome, un volto e una storia propria, spesso di sofferenza. Abbiamo corso anche il rischio di dimenticare come il mare, nella sua sterminata bellezza, possa essere una minaccia e non solo il placido sfondo di una cartolina. 

Secondo una antica credenza di origine gaelica questo pericolo risponde ad una precisa progressione matematica, secondo la quale le onde del mare verrebbero in gruppi di nove, ciascuna più grande della precedente, fino alla nona, la più alta e potente, così pericolosa da essere ritenuta persino il confine tra mondo terreno ed Aldilà. La nona onda (1850) del pittore armeno Ivan Konstantinovic Ajvazovskij, definito da alcuni “il più bel dipinto russo”, ci racconta, con una tecnica che lambisce il dettaglio ed il realismo di una fotografia, di questo pericolo; del dramma di un gruppo di naufraghi aggrappati alla vita di fronte ad una forza della natura che pare ineluttabile. In essa emergono i contrasti tra la bellezza e la ferocia della natura ma anche tra una forza spaventosa ed il desiderio di lottare e di non rassegnarsi; infondo le persone combattono sempre per la vita, il benessere e la sicurezza. 

Pare che Ajvazovskij si sia ispirato, nel soggetto, ad un fatto di cronaca avvenuto nel 1842; un naufragio di una nave presso le coste africane. A più di duecento anni dalla sua realizzazione questa è un’opera che sembra ancora oggi una pagina di cronaca, vivida nei suoi colori ma soprattutto, e purtroppo, anche nel suo contenuto.

Ivan Konstantinovic Ajvazovskij, La nona onda

1850, olio su tela

San Pietroburgo, Museo di Stato russo

Condividi: