In questa epoca di malesseri, può far bene lenire la fatica dei nostri occhi doloranti per le tante brutte cose, contemplando un mappamondo. È un esercizio zen, dove si ritrova un ordine spaziale, una distribuzione serena e chiara del nostro spazio, una spiegazione.

“È per sistemare la storia che si incasina la geografia”,

ricordava un francese, e l’atlante è un libro che argina questo casino. Paolo Ciampi ne ha scritto in Il sogno delle mappe – Piccole annotazioni sui viaggi di carta, un breviario di riflessioni, o di vertigini, di chi si china su una carta geografica, e che tra le mille strade che apre ricorda anche la Mappa Mundi di Hereford,

del XIII secolo, forse la più audace, perché si spinge fino a connettere l’aldiquà e l’aldilà, il sacro e il profano, la metafisica e la cartografia, perché include nella mappa anche il Giudizio Universale o il Diluvio.

La mappa, il mappamondo,
il “Theatrum mundi”

La mappa è uno spettacolo, in cui il viaggiatore è allo stesso tempo spettatore e attore, occhio allo stesso tempo fuori e dentro la mappa: ognuno di noi è all’interno del Theatrum orbis terrarum, come Ortelius chiamò la sua enciclopedica raccolta di carte geografiche.

Un theatrum mundi che calma i nostri nervi, che ci spiega lo spazio disponibile, che induce al sogno. Il mappamondo può essere la lettura finale del vecchio che se ne va,  e il primo libro del bambino, il primo tassello di una pedagogia del capire il mondo e di farsi spazio.

È pure quel sentimento di candore e stupore che ho ritrovato in una vecchia carta, Atlanti, testo di una performance pubblica di quarant’anni fa, che illustra le divagazioni – i deliri? – in cui s’incede al cospetto di un globo, chiamato meno precisamente anche mappamondo, o a un atlante.

Il tuo dito cerca lo stivale: “Qui c’è l’Italia, Firenze, qua sul Lungarno c’è il museo e dentro io”. Nella sala del museo di storia della scienza il profumo è vecchio, le bacheche ingiallite, e ti incanti al cospetto della mappamondo di Galileo: i continenti seguono gli oceani con i contorni deformati, quasi li avessero posti davanti agli specchi ricurvi del luna-park, e i legni intarsiati si reclinano con le loro parabole incrociate.

A casa contempli i libri di geografia col colore e la forma di un mattoncino o addirittura palloncini gonfiati a mo’ di mappamondo. Forse, la tua sensibilità infantile è rapita prima di tutto dalla policromia della tante. In Europa “Sweden”, “Iceland”, “Belgium”, “Italy” (ma come, anche questo in inglese?), e “Romania” sono in giallo limone; in Africa e il viola grigio chiaro – sa di freddo, possibile? – A dipingere Zaire, Zimbabwe, Algeria, Upper Volta (che nomi!), Senegal e Camerun. Gli alti – in cima alla carta –scogli del Canada sono di un ghiaccio aranciato, mentre Brasile e Ecuador sono tinti di verde. Certo, i russi sono quasi rossi: Rosa porpora carico, insieme ai loro amici Sri Lanka, Malaysia,  Iraq, Yemen e South Korea.

Intorno, oceani emergono o affondano con le loro gradazioni celesti-azzurre. Nei giorni della creazione, Dio era un artigiano, e immergeva nella tinozza della sua vecchia tintoria i fazzoletti di terra, per poi cucirli sulla sua palla di Arlecchino.

Già pensi di visitare in ogni continente starti che abbiano lo stesso colore dell’Atlante, salterellando di qua e di la, tanto non confinano mai tra loro ha fatto proprio un buon lavoro Dio, e, come ti insegnano a scuola, niente è a caso. E ti vedi Sommo Ambasciatore Universale, a decretare alleanze, fedelissime inscindibili – perché come potrebbe un paese giallo passare agli arancioni? Qualcosa di più strano: lo sai ancora se lo vorresti visitare, e il bianco glaciale della Greenland e dell’Antartide.

Tanto è sempre la stessa follia, lo stesso ciò-che razza di invenzione illusoria e il tuo balocco preferito. Una carta disegnata una sfera colorata pretendono di rappresentare l’intero pianeta: Mari e terre, catene rocciose, paesini, città, e via vai si potrebbe arrivare a scorgere le capanne E i quartieri, Le strade e le biciclette della Cina, Le testoline e infine anche lui, il globo, che raddoppia la rappresentazione di tutto il reale per poi moltiplicarla all’infinito rimandando a tutti gli altri globi attraverso l’interminabile gioco dei due specchi contrapposti.

Con l’invenzione del tuo più bel balocco, Atlante sferico, la follia umana pretende l’assurdità degli obiettivi: raffigurare – con tanto di indicazione della scala! – tutto l’esistente.

Ed è sempre un mappamondo, pensi, la magica sfera di cristallo che incantava gli indovini e teneva in scacco i principi abiti di conoscere le mosse ministro che sul campo di battaglia. Era un atlante a tutto tondo ti traslucido, In cui i contorni geografici erano annientati da un magma biancastro, un’unica nebbia universale in cui si perdevano i destini umani. Carta velina nella te, vivi su veicoli che nascondevano-Nascondendolo all’occhio profano-il numero finito delle possibilità, dei casi dell’essere. Nella rappresentazione del mondo, per quanto a, l’indovino scorgeva tutto, l’insieme di movimenti e parole. Anche questa pagina sarà leggibile in un ardito mappamondo.

Suscettibile a tanta potenza, Il tuo dito di bambino indica giochi paesi lontani e mari da attraversare, le tue labbra pronunciano zitte strane parole. A Natale chiederei in regalo per semplificarti la vita, un atlante con i nomi in italiano; magari ti dispiacerà rinunciare alle forme impronunciabili e senza dubbio dotate di fantastiche virtù: “ Madagascar”, “Uruguay e Paraguay”, Czeoslovakia”, “Saudi Arabia”, “Swaziland”, “Turkmenistan”….

Fossero scritti gli alfabeti originali, quanti altri isterica decifrare.

E così, il mappamondo, tondo codice segreto ed enigmatico teatro della vita. Perché il tuo dito scorre ancora verso Capo di Buona Speranza, i nomi dell’Atlante sono aperte altrettanti luoghi mentali. Non solo suggeriscono le lingue del mondo che un giorno dovrai possedere per vivere, ma racchiudono anche delle tue possibilità: Firenze dove sei nato Roma Bruxelles e Parigi sarà dove vivrai. E poi chissà. Guarda più da vicino, scorge quel camion ugandese su cui ti facesti fotografare, il luogo della vecchiaia, e là, si proprio là, vedi, l’angolo della tua lapide. E non smetti, ancora oggi (tanto ne parlammo)  la tua mano pesta le mete dei viaggi futuri, le mani e i baci degli incontri, le rotte degli aerei che ti scorrazza saranno nell’emisfero australe oltre il circolo polare artico. E oltre la “data line” sarà come nel giro del mondo in ottanta giorni: vedrai un giorno in più o forse meno.

Terremoti al tuo pensare, i suoni dell’Atlante sono già suggestioni autobiografiche, anche se per ora sei solo un piccolo bambino dinanzi alla carta geografica. Con lo sguardo sopra di lei, le tue incertezze, gli inspiegabili dilemmi, si tramontano insonni rassicuranti. Domini la situazione dall’alto – una specie di comandante – le angosce diventano piccole, appena minuscoli pallini di qualcosa che accade in quel ritaglio di terra.  È come quando vedi alla televisione una veduta aerea o da un elicottero: tutto è più pacifico e innocuo, perfino la caduta delle bombe fa un altro effetto (mentre È che gli uomini e le donne si trascinano infelici, ristretti nelle loro ottusità e nella miseria senza uscita e il volo delle bombe si infrange distruggendo le case, anche la tua: del resto, si sa, la terra è un cerchio e non c’è scampo che insù).

Dall’alto, dal cielo sopra l’atlante, ti convinci che sei parte di un insieme, la tua individualità si ricongiunge al totale.

È allora che perdi la prima scheggia di innocenza, laddove capisci di essere nato creature di questo pianeta, attore e rappresentazione dell’atlante, e la tua avventura dispone come spazio vitale di un mondo finito e circoscrivibile.

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