Abituati a pensare che ogni specie sia come chiusa ermeticamente all’interno della propria nicchia ambientale, non ci rendiamo conto che, al contrario, le relazioni ecologiche delle varie popolazioni animali sono oltremodo fluide, ovviamente con differenze anche rilevanti tra le diverse specie.

Sappiamo, per esempio, che gli animali con forti specializzazioni adattative sono assai meno flessibili di quelli generalisti, che chi sta al vertice della catena alimentare è più a rischio rispetto a chi occupa la base di un certo ecosistema, che le specie che vivono nelle aree insulari sono più soggette all’estinzione.

Alcune specie di animali selvatici si stanno trasferendo in città

Diciamo, tuttavia, che il fatto di considerare gli animali come entità passive e statiche all’interno di una nicchia, non ci permette di capire la magmaticità dei processi d’adattamento. Nel libro del biologo olandese Menno Schilthuizen Darwin va in città (Raffaello Cortina Editore, 2021) scopriamo che un numero sempre maggiore di specie selvatiche si sta trasferendo all’interno dei centri abitati, ritagliandosi nuove nicchie e intraprendendo incredibili percorsi adattativi.

Le città sono sempre state un luogo di convivenza per molte specie, comunemente definite sin-antropiche, cioè portate a utilizzare l’ambiente urbano come una sorta di bioma, capace di presentare una varietà di nicchie utili per la loro sopravvivenza. Pensiamo, per esempio, ai parchi cittadini, che rappresentano spesso gli unici luoghi sicuri per svernare per molte specie di uccelli, come pettirossi e scriccioli, anche per il clima più mite e riparato, o in primavera per riprodursi, come cardellini e verdoni.

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Nel mio libro Animali di città (Red, 1997) già mostravo come le città italiane, proprio per il loro carattere medievale, fossero estremamente variegate e ricche di canali, torri, giardini interni, fontane, digitazioni di verde, balconi, risultando così un luogo ideale per molte specie. Gli animali che si sono specializzati a vivere accanto all’essere umano hanno in genere un profilo da opportunista, come i ratti e i piccioni, le blatte e le mosche, i passeri e le lucertole.

Ma in città troviamo anche colonie feline, che si formano grazie alla presenza di volontari che portano il cibo, e che danno una connotazione pittoresca a certe aree, come i siti archeologici di Roma. In alcune regioni sono presenti cani liberi, come randagi o cani di quartiere, che il più delle volte si limitano a stazionare accanto all’essere umano e ci ricordano quella convivenza che Raymond Coppinger ritiene all’origine della domesticazione del cane. Spesso l’ambiente urbano presenta per alcune specie maggiori opportunità rispetto alle aree di campagna diventando centri di attrazione anche per specie che non avevano una tradizione in tal senso.

Non vi è dubbio che l’ambiente agricolo oggi, in seguito al tramonto della cultura rurale e all’avvento dell’agro-zootecnia industriale, si presenti spoglio e fortemente inquinato.
Così da qualche decennio non solo le classiche specie sin-antropiche, ma un gran numero di animali selvatici stanno trovando rifugio in città, come gufi, cince, aironi, calabroni, ghiandaie, gazze, storni. Abbiamo poi quegli animali che, pur vivendo nelle aree boschive, non disdegnano ogni tanto di fare, come si suol dire, una gita in città alla ricerca di cibo, come cinghiali, orsi, lupi e mustelidi.

Durante la pandemia da Sars2, il lockdown fece registrare un incredibile incremento di queste visite, per esempio di cervi, caprioli, tassi, come se l’assenza degli esseri umani spingesse molti animali a occupare queste aree. Conoscere la fauna urbana rappresenta, peraltro, un’ottima opportunità per i ragazzi che hanno sempre meno occasioni di entrare in contatto con gli animali e che il più delle volte hanno solo il cane e il gatto come unici rappresentanti dell’universo non-umano.

Così, mi fa piacere segnalare un altro libro che affronta tale argomento, dal titolo Animali in città (Lapis, 2019) del naturalista Bruno Cignini che costituisce un’ottima guida per riconoscere i nuovi cittadini e compiere una sorta di safari urbano. D’altro canto, va detto che le città non sono abitate solo dai cosiddetti animali autoctoni perché in diversi modi l’essere umano ha contribuito a portare in città anche specie per così dire esotiche, come parrocchetti, nutrie, tartarughe d’acqua, scoiattoli americani, usignoli del Giappone, cimici asiatiche e coccinelle orientali.

Alcune di queste specie rappresentano un grave problema, come la Vespa velutina, un imenottero affine al nostro calabrone (Vespa crabro) che, tuttavia, a differenza di questo, effettua una predazione in gruppo sugli apiari provocando ingenti morie. Del resto le città stanno diventando grandi laboratori evoluzionistici dove è utopistico pensare di porre un argine alle continue trasformazioni in essere.

Nuove strategie per sopravvivere e cambiamenti climatici

Così, mentre gli uccelli imparano nuove strategie per procurarsi il cibo, come le cinciallegre che all’inizio del XX secolo in Inghilterra impararono a forare i tappi delle bottiglie di latte per prendere la panna, molti insetti evolvono nuove tattiche per ricavarsi un nido all’interno della giungla d’asfalto. In Giappone i corvi hanno imparato a sfruttare il traffico per aprire le noci: le posizionano per strada, aspettano che le auto passando ne rompano il guscio, quindi attendono che il semaforo diventi rosso per recuperare il bottino.

Anche i cambiamenti climatici stanno contribuendo a modificare l’ambiente urbano favorendo la presenza di specie che un tempo erano totalmente assenti nelle regioni del Nord Italia, come il geco e un’altra specie di calabrone, la Vespa orientalis. Ritornando al saggio di Schilthuizen, gli animali in città mostrano comportamenti sempre più intraprendenti e stanno diventando resistenti ai fattori nocivi e disturbanti presenti in ambiente urbano.

Possiamo dire, pertanto, che ci troviamo davanti a un nuovo capitolo nella storia dell’evoluzione ancora tutto da scoprire.

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