Le prime cinque puntate della quinta stagione de La casa di carta sono pronte su Netflix e alla seconda puntata già si spera che finisca qui. Invece ce ne saranno altre cinque che arriveranno il 3 dicembre (e che saranno davvero conclusive, promettono). Ma la perversione del nostro tempo è che i prodotti, anche quando sono trash, sono fatti bene, e così si resta incollati allo schermo a inghiottire le vicende della maxirapina dentro la Banca Centrale di Spagna anche se ormai La casa de papel, in formato puro Hollywood, non offre né novità, né empatia; invece una quantità di spari, kalashnikov, lanciafiamme, visi anneriti dalla polvere, urla, esibizioni testosteroniche e improbabili prodezze (la mia preferita resta il distacco di una trave dal soffitto per sollevare una statua di un par di tonnellate, per liberare un compagno con l’arteria femorale recisa, il tutto, bene inteso, sotto il fuoco nemico). E però, l’ho detto: si lascia vedere, anzi non riesci a staccarti, proprio come un James Bond (ma senza Daniel Craig, ahimé). Con tanto di inserzioni qui e lì di motoscafi, donne sexy, fughe per i canali, palazzi di lusso.

La casa di carta nacque nel 2017 in Spagna per Antena Tre, ideata da Alex Pina, e siccome era bellissima e di successo, Netflix se la comprò e sviluppò il seguito oltre la prima stagione. La storia iniziale narrava di una rapina originale: irrompere nella Fàbrica Nacional de Moneda y Timbre, a Madrid, stampare migliaia di milioni di banconote e scappare con il bottino. L’ideatore era il Professore (Alvaro Morte), uomo di grande intelligenza che aveva selezionato attentamente un gruppo di individui senza più nulla da perdere. A ciascun componente della banda era assegnato il nome di una città: Tokyo  (Ursula Corberò), Mosca (Paco Tous), Berlino, (Pedro Alonso), Nairobi (Alba Flores), Rio (Miguel Herràn), Stoccolma (Esther Acebo), Denver, Helsinki, Oslo… El Profesor ingaggiava una battaglia d’ingegno con l’ispettora Raquel Murillo (Itziar Ituno) incaricata di trattare con lui: ne nasceva un grande amore e la conversione di lei al crimine col nome di Lisbona. Sullo sfondo, la corruzione del potere, i metodi sporchi dei servizi segreti, l’opinione pubblica tutta schierata con i banditi gentiluomini e gentildonne, ecc ecc. Finale con fuga dei rapinatori vincitori in isole paradisiache. In Italia, immenso successo anche perché nel momento del massimo trionfo i rapinatori cantavano Bella ciao (in italiano, grazie ai ricordi del carismatico Berlino).

La serie era girata bene, era originale, aveva fra i banditi alcuni personaggi femminili liberi, arditi e complessi, era coerente e insomma piacque assai. Già dalla seconda stagione, rilevata da Netflix, era apparso arduo ripetere il capolavoro: in sostanza la storia ha riportato i nostri in un altro colpo, il furto dell’oro di Spagna, con ingresso nella Banca Centrale, una nuova ispettora (Alicia Sierra, interpretata da Najwa Nimri) a parlare per telefono con il Professore, un cattivissimo direttore delle operazioni pronto a qualunque nefandezza pur di sconfiggere i banditi. Quattro stagioni dopo, sono ancora lì a cercare di districarsi.

Ne consegue che anche la trama si dissolve; non saprei dire cosa sia successo in una stagione o in un’altra. Ci sono molti flashback, anche per riportare in primo piano personaggi che nel frattempo sono scomparsi; per esempio Berlino, misogino narcisista carismatico amatissimo dal pubblico, in questa quinta occupa un posto preponderante con una storia secondaria il cui rilievo, immagino, emergerà con le nuove puntate, perché fin qui l’addestramento al crimine di suo figlio per quanto spettacolare non ha nessun rapporto col resto (salvo fornire appunto il pretesto per donne sexy, motoscafi, fughe nei canali e palazzi di lusso). Segnalo poi la mia personale irritazione perché la cattivissima ispettrice Sierra si scioglie come uno zuccherino quando ha in braccio il suo bebé (ma qualche indizio lascia pensare che la sua storia non finisca nella melassa).

Non faccio spoiler, però la domanda sorge spontanea: perché vederla allora questa stagione, perché dedicare un po’ del nostro prezioso tempo a quello che ormai è un prodotto commerciale bum bum bang bang? Vi do qualche risposta:

  • Perché come ho detto, è fatta bene anzi benissimo
  • Perché a volte bum bum bang bang risolve una giornata difficile
  • Perché gli attori sono sempre bravissimi
  • Perché ovviamente, dobbiamo sapere come va a finire
  • Perché è uno studio di come il successo trasformi i prodotti originali (in meglio, in peggio, ognuno decida per sé)
  • Perché piaccia o meno, è una bella storia per gli attori spagnoli e il creatore Alex Pina che ora sono noti in tutto il mondo
  • Perché quello che resiste in fondo è l’empatia dell’amicizia e del cameratismo che conquistava anche all’inizio
  • MA SOPRATTUTTO, perché ho apprezzato fin dall’inizio, e resta vero, che le donne della serie siano bellissime senza rispettare i canoni: hanno lineamenti irregolari, hanno visi particolari, lontani dagli stereotipi e memorabili (e infatti nelle foto pubblicitarie sono tutti addolciti).

E naturalmente, se non l’avete vista dall’inizio: guardate la prima stagione, fatevi un regalo.

Condividi: