La resistenza degli animali è un tema ormai dibattuto da diversi anni in ambito antispecista, sia a livello accademico che militante. Lo testimonia la bibliografia a cura del gruppo Resistenza Animale e, soprattutto, l’immenso archivio di episodi di ribellione e fuga da circhi, zoo, allevamenti raccolto dallo stesso collettivo.

Ma, al netto delle questioni che solleva sulle capacità dei non umani di esprimere il dissenso e di agire politicamente, non si tratta necessariamente di un argomento difficile da affrontare. Ne sono testimoni due libri per bambinə, scritti e illustrati da Stefania Valenti, che presentano in parole semplici e immediate due casi di fuga dalla prigionia. Le immagini e i testi sono coinvolgenti e, anche se le due vicende sono piuttosto diverse, in entrambi i casi è impossibile non comprendere subito da che parte stare.

Un polpo e un fenicottero in fuga

Il primo racconta la storia di Inky, un polpo che un pescatore aveva portato, nel 2014, al National Aquarium in Nuova Zelanda. Due anni dopo Inky solleva la gabbia di vetro dell’acquario, percorre il pavimento, si infila in un tubo di scarico. I polpi possono assumere diverse forme, grazie alla mancanza di ossa: la sua conformazione elastica gli permette quindi di percorrere a lungo i tubi, fino a raggiungere il mare, e, con esso, la libertà. La notizia fa scalpore, ma occorre ricordare che non si tratta del primo caso di polpo ribelle, e non si tratterà certo dell’ultimo.

Il secondo prende le mosse da una fuga da uno zoo del Kansas, negli U.S.A. Quando pensiamo alle fughe dagli zoo, che in effetti sono un fenomeno molto frequente, si affacciano alla nostra mente figure di tigri, leoni, scimmie. E invece in questo caso si tratta di un fenicottero rosa, denominato 492 dai suoi carcerieri che lo avevano fatto catturare in Tanzania nel 2003. Nel 2005, 492 fugge, approfittando di una dimenticanza.

Di norma, infatti, a questi esemplari viene praticato il taglio delle penne remiganti, proprio per evitare la fuga, ma questa volta le ali erano rimaste intere. Gli zoo ci raccontano sempre che gli animali evasi non sono in grado di vivere in libertà, quasi fossero sperduti senza i carcerieri ad accudirli. E invece 492 è tuttora libero, è stato avvistato più volte e in diversi luoghi degli Stati Uniti negli ultimi anni, anche in compagnia di suoi simili. Non è mai stato possibile ricatturarlo.

Gli animali non vogliono stare in gabbia

Anche se queste sono storie e lieto fine, purtroppo in genere gli animali che si ribellano alla reclusione o allo sfruttamento non riescono a guadagnarsi una vita migliore. Quando ci provano, perché il loro tentativo sia coronato da successo, c’è anche bisogno, di solito, di un atto concreto di solidarietà umana, di una presa di posizione dell’opinione pubblica.

E di una narrazione diversa, perché troppo spesso la mucca che scappa dal camion che la trasportava al mattatoio, il cavallo che salta il recinto o la giraffa in fuga per le vie della città sono oggetto di articoli folkloristici, ridicolizzanti, tesi a ricordare che si tratta di una buffa anomalia, un’eccezione che conferma la regola. E la regola è che gli animali sono fatti apposta per essere allevati e sfruttati per divenire carne o materiale da intrattenimento. La regola è che, di certo, non desiderano altro che le gabbie.

E invece, queste storie, così frequenti e varie se ci diamo la pena di osservarle davvero, ci insegnano qualcosa che forse le bambinə sanno già: gli animali desiderano la libertà con tutte le loro forze. Gli animali, che riescano o meno a sottarsi alla prigionia, in gabbia non ci vogliono stare. Gli animali resistono.

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