“Faccio un buco su un muro di uno slum di New Delhi, ci metto dentro un computer e lo connetto a internet dall’altra parte della parete. Poi vediamo cosa succede”.

Questo è il racconto di Sugata Mitra e del suo esperimento fatto prima nella città indiana, poi in tutto il paese. Sugata Mitra è un educatore e pedagogista nato in India il cui pensiero sulla scuola si condensa nella seguente affermazione:

“Ci sono posti in ogni nazione dove, per varie ragioni, non possono esserci buone scuole e dove insegnanti bravi non possono o non vogliono andare. Proprio in quei posti dove sarebbero più necessari”.

L’esperimento del “buco”

Nel corso dei suoi esperimenti, infatti, Sugata Mitra si è reso conto che, in poco tempo, i bambini che si avvicinavano alle postazioni murate erano in grado di adoperare il computer e di muoversi su internet. Senza che nessuno li guidasse o insegnasse loro come fare.

Qualsiasi bambino, al di là della sua condizione sociale o del territorio di provenienza (città, campagna, periferia o villaggio) ci riusciva.

Riusciva a imparare qualche cosa.

L’esperimento venne esteso al Sudafrica e alla Cambogia fino a quando Sugata Mitra ricevette un finanziamento dall’Università di Newcastle. Ottenendo pure nel Regno Unito risultati di apprendimento che, alla partenza, apparivano impensabili.

Questo non significa che una macchina possa sostituire un insegnante in carne e ossa. Tutt’altro.

Questo significa che forse l’istruzione in tutto il pianeta andrebbe ripensata. A partire da un dato certo, come hanno dimostrato gli esperimenti di Sugata Mitra con bambini di tutto il pianeta. Italia compresa, dove il pedagogista indiano è passato nel 2010 fermandosi in una scuola di Torino.

Dare peso alla creatività degli studenti

È necessario, alla luce di tutto ciò, dare più peso alla creatività degli studenti, specialmente quelli più piccoli.

Favorire lo sviluppo della fantasia in ogni discente, senza imbrigliarlo in schemi troppo rigidi o con un’educazione eccessivamente formale.

Anche Ken Robinson, scrittore ed educatore britannico, ha considerato la creatività come uno dei perni della crescita educativa dei giovani. Ma, al contempo, ha evidenziato altresì quanto l‘assenza della stessa creatività – o la sua scarsa considerazione nei sistemi educativi, soprattutto occidentali – sia diventata un “buco” sempre più grande nella nostra istruzione.

Secondo Robinson nel suo libro Fuori di testa. Perché la scuola uccide la creatività, infatti, il nostro metodo di insegnamento è rivolto ad allievi che dovremmo preparare per un futuro professionale che noi però ignoriamo nel suo sviluppo (“Quali lavori svolgeranno tra trent’anni i nostri ragazzi?”) ed è all’opposto impostato su un
modello mentale che è vecchio di due secoli e mezzo, cioè risalente addirittura ai tempi
dell’Illuminismo e della Rivoluzione industriale.

Ragion per cui noi avremmo la pretesa di formare individui, istruendoli in serie come nelle catene di montaggio industriali e sottoponendo loro, in ogni luogo del pianeta deputato all’istruzione, una gerarchia di materie che non tiene conto dei cambiamenti del mondo. Per questo, per esempio, tutte le scuole insegnano matematica e quasi nessuna insegna danza.

Questo sistema educativo, pertanto, genera delle conseguenze che noi registriamo come disturbi dell’attenzione o addirittura fenomeni di alienazione degli allievi, dato che chiediamo agli stessi di studiare “cose vecchie” per cui essi si percepiscono come estranei all’apprendimento, mentre non incentiviamo o addirittura tentiamo di soffocare la loro immaginazione.

Ma la motivazione di fondo è chiara: la matematica risponde ai bisogni industriali della nostra società, la danza no.
Eppure, è proprio qui il punto. La danza, giusto per restare nell’esempio, in una nuova visione dell’educazione potrebbe diventare uno strumento di pensiero e un modo di esprimersi per quello studente e quella studentessa che non riescono a essere inquadrati dalla matematica.

Così come il computer murato di Sugata Mitra potrebbe diventare un trampolino di lancio per far emergere potenzialità finora mai espresse di tanti bambini.

Siano essi indiani o inglesi.

Siano essi di città o di campagna.

Siano essi poveri e ricchi.

Il vero cambiamento

Dunque, il vero cambiamento sarà soltanto in quella scuola in grado di valorizzare, all’interno della formazione globale di un individuo, le attitudini soggettive di ciascuno bambino o ragazzo.
Solo così, potremmo così creare una nuova ecologia del pianeta, affidandone le redini a tutte quelle nuove generazioni capaci di riconfigurarlo e salvarlo, sulle ali della propria immaginazione e del propria estro, e sottraendolo invece a quegli ultrasettantenni che oggi, in modo tragico, si assurgono a leader mondiali con il solo valore acquisito del possesso delle armi.
E solo così noi saremo in grado di chiudere quel “buco della scuola” che tanto penalizza la nostra istruzione, discriminando soprattutto quella generazione di allievi che si presentano già penalizzati ai nastri di partenza, a causa del luogo di nascita e delle condizioni sociali.

E magari, allo stesso modo, potremo chiudere quei “buchi” di umanità che gli inumani bombardamenti a cui assistiamo alla televisione o sui social e gli imperialismi economici lasciano sulla pelle di intere popolazioni inermi e innocenti.

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