Mentre faccio colazione ascolto qualche podcast, entro in una room su clubhouse, salvo una diretta instagram da guardare in un tempo morto, accumulo libri e riviste, colleziono articoli, cerco di stare al passo e apro tutte le newsletter a cui sono iscritta. Quando sono sui mezzi, a costo di avere la nausea, leggo. 

Arrivata alla fine della settimana, esausta e piena zeppa di sollecitazioni, ho bisogno di rallentare. So rallentare in due modi: dormendo o rileggendo romanzi già letti. 

Il romanzo già letto questa volta è La spiaggia, uno dei titoli più noti di Cesare Pavese, nella versione edita da Mondadori. Credevo che La spiaggia fosse un buon romanzo per cercare di tirare il freno e quietarmi un po’ (o almeno, avere l’impressione di poterlo fare).

I toni del protagonista, che è anche narratore, dettano tempi lenti di osservazione e ascolto. Chi ci racconta la storia (non ne conosceremo mai il nome) spende una gran quantità di tempo a guardare come si comportano gli altri, soprattutto quando ignorano o dimenticano di essere visti: è un tempo flemmatico quello che trascorriamo cercando di riconoscere il modo in cui gli altri si rivolgono ad altri diversi da noi e come appaiono a questi.  È indolente anche il tempo destinato a invidiare vite che non conosciamo davvero e a giudicare,  da tratti fugaci e parole dette per imbarazzo o nervosismo,  chi ci sta intorno. 

La scrittura è frammentata e brevi pennellate si accostano a formare un quadro comprensibile, ma polisemico. Tra i brevi dialoghi, le giornate in spiaggia e i giri in automobile si aprono numerosi spazi di lettura, in cui ognuno di noi, nella ricerca di una calma quotidiana, può leggervi risposte a quello che domanda

Ho riletto La spiaggia come se mi trovassi di fronte a una poesia con una sottile trama a reggere la struttura e il significato raccolto da sorrisi donneschi, mezze frasi sardoniche e parole a vanvera, nuotate al mare in solitaria e fughe al paese irrisolte. Il romanzo assomiglia a quelle calde giornate estive in cui il temporale si carica. L’afa e il sole paiono indisturbati, ma non lo sono: quel caldo non è quieto e sappiamo che nel pomeriggio l’acquazzone arriverà improvviso e violento. Allo stesso modo nel racconto il protagonista avverte in mezzo a quella quiete estiva l’inquietudine calma della coppia di amici, che non litiga mai, ma sembra incastrata in un rapporto senza corpo. Non c’è scelta senza crisi e i due, per non affrontare la crisi, galleggiano in un limbo che precede la scelta, senza sapere bene da dove cominciare. 

La spiaggia diventa una poesia sull’incapacità di comunicare continuando a parlare e sulle forme di solitudine. 

Quando per la prima volta ho letto questo romanzo ho creduto fosse un libro di paesaggi e di discorsi oziosi pronunciati per riempire silenzi inoperosi: non mi ero accorta del temporale che si caricava e ancora adesso non so se il temporale abbia rinfrescato o sigillato tutto in un’umidità peggiore.

Io, come il narratore sulla Riviera ligure, volevo solo riposare e svagarmi

Se anche voi, come me, arrivate a fatica al fine settimana, vi consiglio qualcosa di diverso, un Marco Malvaldi intelligente e divertente come non mai.

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