È opinione condivisa che le persone affette da disturbi mentali siano diverse, strane o addirittura pericolose. Tutti questi preconcetti possono essere racchiusi in una sola parola: stigma, termine adottato in psichiatria per definire l’insieme di connotazioni negative che vengono pregiudizialmente attribuite alle persone con problemi di salute mentale a causa del loro disturbo, e che determinano discriminazione ed esclusione.

Lo stigma rappresenta

“un marchio di vergogna, di disgrazia, di disapprovazione che fa rifiutare, discriminare ed escludere un individuo da contesti e situazioni proprie della vita sociale”.


Lo stigma nei confronti delle persone con disturbi mentali è fortemente radicato nella coscienza collettiva, è estremamente pervasivo e difficile da eliminare, ed ha radici antiche, risalendo al periodo dell’Illuminismo ed essendosi poi radicato nel periodo dei manicomi.

A tal proposito è molto interessante lo studio collettivo di Thornicroft G, Bakolis I, Evans-Lacko S, Gronholm PC, Henderson C, Kohrt BA, Koschorke M, Milenova M, Semrau M, Votruba N, Sartorius N. intitolato Key lessons learned from the INDIGO global network on mental health related stigma and discrimination che riassume il lavoro svolto dalla rete INDIGO (International Study of Discrimination and Stigma Outcomes) nell’ultimo decennio.

Lo stigma rappresenta quindi una dimensione di sofferenza che si aggiunge all’esperienza di malattia e che ha gravi ripercussioni sul funzionamento sociale delle persone e dei loro familiari. Sebbene lo stigma accomuni, seppure in grado diverso, tutti i disturbi mentali, per alcune patologie più gravi, come ad esempio la schizofrenia, lo stigma può essere considerato una vera e propria seconda malattia.

Le persone con problemi di salute mentale sono sottoposte quindi a una doppia sfida: da un lato devono confrontarsi con le conseguenze dirette della propria patologia, in termini di sofferenza e (talvolta) relative disabilità; dall’altra devono subire gli stereotipi e i pregiudizi derivanti dalle errate concezioni sui disturbi mentali, dai quali derivano fenomeni di discriminazione ed esclusione che minano alla base un’accettabile qualità della vita.

In questo senso è illuminante il libro di Francesca Vecchioni Pregiudizi inconsapevoli, in cui l’autrice smaschera, con tono ironico e dissacrante, tutte le volte in cui senza volerlo cadiamo nella trappola degli stereotipi.

Lo stigma rappresenta anche uno dei principali ostacoli per l’accesso tempestivo a cure adeguate: fino ad un terzo dei pazienti con disturbi mentali afferma di “aver paura di rivolgersi allo psichiatra” per il timore di essere etichettato come pazzo, e di essere così ulteriormente escluso. Pertanto, accade non di rado che i pazienti, e anche i loro familiari, cerchino di nascondere il proprio disturbo agli amici, ai parenti e ai conoscenti, per il timore di essere allontanati e discriminati. 

Un discorso a parte va fatto per il cosiddetto self-stigma, cioè l’autostigmatizzazione che i pazienti con disturbi mentali applicano su sé stessi in maniera più o meno consapevole. In particolare, molti pazienti con disturbi mentali possono aver fatto proprio e interiorizzato il pregiudizio che le persone affette da disturbi mentali valgono meno delle altre persone e tendono pertanto ad auto-isolarsi e ad amplificare la discriminazione di cui sono vittime. Questo processo viene definito Why Try Effect, cioè l’effetto perché provarci: i pazienti si convincono di non essere in grado di poter svolgere alcun tipo di compito o lavoro, ed evitano situazioni in cui potrebbero essere esposti al confronto con altre persone.

Numerose strategie efficaci, quali protesta, informazione, contatto, sono state messe in campo in molti paesi per combattere lo stigma. La protesta è una strategia attiva che diminuisce gli atteggiamenti negativi verso i disturbi mentali, ma non è in grado di promuoverne di positivi. Le campagne informative, come dimostra lo studio Public anti-stigma programmes might improve help-seeking, di Evans-Lacko S, Kohrt B, Henderson C, Thornicroft G., servono a migliorare le conoscenze sui disturbi mentali da parte della popolazione generale.

Gli interventi basati sul contatto prevedono la diffusione di testimonianze di soggetti affetti da disturbi mentali, facilitando l’inclusione sociale delle persone discriminate. La soluzione migliore per eliminare lo stigma sembra essere l’integrazione tra questi tre approcci. Ma purtroppo in Italia siamo ancora molto lontani: le ultime campagne antistigma promosse dal Ministero della Salute risalgono a oltre 20 anni fa! 

Ancora oggi, le persone con disturbi mentali sono quelle maggiormente discriminate a livello sociale, e andrebbero intraprese azioni concrete per superare questo tabù che non dovrebbe persistere in una società civile. Come ad esempio la campagna Time to change avviata in Inghilterra dal 2008, i cui risultati sono stati analizzati da Sampogna G, Gehlen L, Giallonardo V, Robinson EJ, Thornicroft G, Henderson C. nello studio Mental health service users’ responses to anticipated discrimination and the Time to Change program in England.

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