Sono un insegnante di lettere e recentemente mi è capitato di leggere temi di miei allievi di 14 e 15 anni in cui scrivono di non divertirsi più a basket perché alle partite sono insultati dai genitori di altri adolescenti, per il solo fatto di essere avversari in campo.
Speravo di non leggere mai cose simili negli elaborati dei miei studenti ma è capitato anche a
me, a conferma di un fenomeno sempre più diffuso e maledettamente dilagante.

Perché di casi analoghi, non solo nel mondo della pallacanestro junior, è purtroppo piena la
nostra cronaca nazionale. Ultimo, in ordine di tempo, l’aggressione a un arbitro giovanissimo alla fine di una partita di calcio juniores nel catanese.

Ha scritto Luigi Garlando sulla Gazzetta dello Sport:

“Durante RSC Riposto-Pedara, campionato Allievi-Under 17, un arbitro di 19 anni è stato preso a calci, pugni, sputi e bandierina in testa dai giocatori e adulti del posto”.

Ma come è possibile che genitori si mettano a insultare adolescenti?

Ma come è possibile che un adulto si metta a insultare un adolescente perché gioca contro la
squadra di proprio figlio o della propria figlia? O, addirittura, si metta a litigare con altri genitori? Perché questo costume incivile deve poi frenare altri genitori, che giustamente si sentono intimoriti nel far partecipare i propri figli alle attività sportive?

Difficile rispondere a tali domande, almeno in termini razionali.

So solo che non c’è fine al peggio e da educatore il solo fatto di constatare l’esistenza di episodi di questo genere, anche soltanto letti su un foglio come narrazione indiretta dell’accaduto, è assolutamente deprimente, sconfortante.
Per me scuola e sport hanno tanto in comune, e il loro fine principale è quello di essere
comunità in cui coltivare valori di crescita e formazione
.

Ha detto ancora Garlando a proposito di questa categoria di adulti:

“Una generazione di genitori giustizieri che picchiano i prof se trattano male i figli. Un ragazzo che vede un padre malmenare un arbitro, sarà legittimato a imitarlo. Chi educa i genitori? 

Simile alla posizione del giornalista della Gazzetta è quella dello scrittore Wu Ming 4, uscito adesso in libreria con il suo ultimo Il calcio del figlio. Storia di genitori, figli e pallone, per le edizioni Alegre. Si tratta del suo racconto di dodici anni appresso al primo figlio nei campetti di calcio delle periferie. Rivela Wu Ming 4 in un’intervista a Il Venerdì di Repubblica:

“Gli unici eroi della storia che ho raccontato sono i ragazzi. Il mondo degli adulti che li circonda è fallimentare. Non c’è solo la disillusione dell’età adulta, quanto piuttosto cercare un riscatto riversando sulla generazione più giovane le nostre frustrazioni. È una cosa profondamente ingiusta e che non smette di farmi incazzare”.

Unica soluzione? Sospendere la partita, nessuno vinche più

Invece davanti ai casi a cui accennavo prima, per me c’è solo una soluzione: sospendere la partita.
Senza assegnare la vittoria a tavolino a nessuno, ma semplicemente andarsene.
Chi vince o perde a quel punto non conta più.
Difatti, sebbene questi fatti avvengano fuori dal rettangolo di gioco e dunque sugli spalti, non si tratta più comunque di sport.
Si tratta solo di barbara inciviltà.

E di fronte all’inciviltà una società sportiva e un allenatore assieme ai suoi ragazzi non possono fare altro che abbandonare il campo di gioco, e lasciare gli incivili all’unico agone che meritano.
La solitudine. Così potranno insultare soltanto sé stessi e la propria ignoranza.

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