Mia madre diceva sempre, guardandomi con invidia e rancore:

“beata te che lavori”.

Io mi destreggiavo fra tre mestieri e una passione.

Scrivevo sceneggiature per la televisione, scrivevo romanzi rosa da edicola come Rodha Skinner (non per vergogna, era obbligatorio essere straniere), scrivevo articoli elzeviri inchieste reportage, scrivevo Il romanzo della mia vita. Sempre. Stavo sempre scrivendo il romanzo della mia vita. Perchè la passione era quella e l’ambizione forte. Scrivevo per il teatro. Scrivevo perchè dovevo pagare i conti. Scrivevo perchè dovevo avere sempre una stanza vicino al mare e le stanze vicino al mare costano parecchio.

Scrivere, “scrivevo sempre”,
una bread winner

Perciò scrivevo anche i testi per Paolo Bonolis e Licia Colò che presentavano i cartoni animati di Bim Bum Bam. Scrivevo luminose prosette per Jhonny Dorelli, che conduceva un varietà trash su un Canale 5 appena nato. Intanto crescevo un figlio e dopo anche una figlia. E mi davo da fare per amarli ed educarli e comprare per loro un piccolo regalo ogni giorno (era il mio antidoto al consumismo). Andavo a mille e alla mattina mi buttavo giù dal letto come se il tempo mi corresse dietro armato di un invisibile forcone.

Ero un bread winner femmina, e questo era relativamente nuovo per l’epoca. Avevo appena raggiunto la trentina, quindi parliamo del giurassico. Non se ne vedevano molti di pater-familiae in gonnella nel giurassico. E non erano molti gli uomini che accettavano di essere sostituiti nel ruolo. Non si sentivano più sminuiti e offesi da una moglie che lavora, come i loro padri, e se si sentivano sminuiti e offesi cercavano di non esternarlo, perchè il boom economico era già lontano e un salario o stipendio unico incominciava e non essere più sufficiente per vivere sereni.

A differenza dei loro padri, perciò, abbozzavano.

Ma su un fatto erano intransigenti: quello di lei doveva essere un secondo stipendio, un introito inferiore. Lei doveva fare l’insegnante di materie minori o l’impiegata di ultimo livello, o di penultimo, comunque di un livello più in basso di quello del suo uomo.

Nessuno era attrezzato interiormente per reggere il successo femminile, il fatto che una donna potesse brillare nel vasto mondo, sulla scena pubblica e non soltanto nel privato.

“Sois belle et tais-toi”

Sìì bella e sta zitta, era ancora, com’era stato per secoli, l’inconscio desiderio maschile.

Io non ero bella (o almeno così mi pareva) e non avevo nessuna intenzione di tacere.

Scrivevo ininterrottamente. E scrivere è come alzare la voce. Serve a farsi sentire. Con buona pace dell’universo maschile, mi ero scoperta un talento particolare, quello di rendere la scrittura redditizia. Vendevo benino o bene o molto bene ogni mio esercizio di stile. Passavo dalla letteratura alla spazzatura senza fare un plissè. Scrivevo un fotoromanzo e subito dopo il libretto per un’opera lirica.

Quando è lei ad essere pagata meglio di lui

Il successo che mi aveva sparata giovanissima nel mercato mediatico, il finto diario di due allegri sedicenni alla scoperta del sesso e dell’amore, mi aiutava a saltare tutte le anticamere, ad essere vista, notata e premiata.

Ero più regolare negli introiti e meglio pagata del mio partner.

Lavoravo come una macchina a ciclo continuo, e imparavo, di giorno in giorno, ad amare nei ritagli di tempo, a farmi perdonare la brevità con l’intensità.

Ero stressata? Certo che sì.

Eppure mi congratulavo con me stessa per non aver indugiato nel ruolo di moglie neppure un minuto, di non aver sognato il matrimonio come sbocco, di non aver mai cambiato cognome, di non aver mai barattato la mia libertà di individuo con i benefici collaterali di una vita vicaria, quella in cui chi lavora è l’altro e tu sei una graziosa appendice.

Nel lavoro sta la libertà. E io lo sapevo bene. Perchè ero figlia di una moglie di professione. Mia madre continuava a invidiarmi. Beata te che lavori.


Quando una donna è meglio pagata o ha più successo di un uomo. Un po’ quello che succede nel film Contact (1997) in cui la premio Oscar Jodie Foster – due statuette per lei come miglior attrice protagonista per Sotto accusa (1989) e Il silenzio degli innocenti (1992) – interpreta una ricercatrice che diventa famosa per aver scoperto un segnale in arrivo dallo spazio e Matthew McConaughey nel ruolo del suo compagno, un famoso predicatore, che soffre e mal gestisce l’improvvisa popolarità della compagna.

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