Nei giorni scorsi è tornato alla ribalta il problema del collegamento tra social network e disturbi mentali. In particolare, attraverso un’inchiesta del Wall Street Journal, è emerso come i social, soprattutto Instagram, sembrerebbero influenzare negativamente lo stato di salute mentale degli adolescenti, specialmente ragazze.
Il tema in realtà è molto complesso e dibattuto ed io, che non sono una psicologa né una sociologa, non ho gli strumenti adatti per decifrare esattamente come stanno le cose.

Ho letto articoli di specialisti che sostengono come non siano i social in sé ad essere dannosi ma che sia responsabilità degli adulti educare i ragazzi all’uso degli stessi, un po’ come è successo per noi diversamente giovani con l’avvento della televisione. Probabilmente è vero, ed è altrettanto vero che non si può pensare di vietare i nuovi mezzi di comunicazione alle nuove generazioni, sarebbe un controsenso. Però non posso fare a meno, partendo dai dati del WSJ, e soprattutto dalle mie sensazioni, di provare a fare una riflessione più generica dal punto di vista di un paziente che, senza l’influenza dei social nell’adolescenza, ha sviluppato tutta una serie di disturbi più o meno gravi e che ha sempre ringraziato Dio di averla fatta nascere negli anni ’80, perché altrimenti non avrebbe retto.

Le persone sensibili le riconosci subito, sono quelle che al cinema si commuovono, che si fermano a giocare con i cani per strada, che sorridono agli sconosciuti, che tendono una mano a chi è in difficoltà. Le persone ipersensibili le riconosci ancora più in fretta, sono quelle che al cinema piangono disperatamente e si immaginano al posto degli attori, che i cani se possono se li portano a casa, che attaccano bottone con gli sconosciuti, che si caricano sulle spalle il peso dei problemi del mondo. Tutto perché hanno bisogno che l’esterno riconosca loro un valore oggettivo. Valgo perché faccio qualcosa che si vede.

Cosa c’entri questo con i social e con i reality è presto detto. Le persone che hanno subito un qualche trauma, quelle che soffrono di un disturbo mentale, sia esso un disturbo di attacchi di panico o altro, sono, quasi certamente, dei soggetti ipersensibili che con molta fatica, riconoscendo il motivo della loro ipersensibilità, riescono a razionalizzare alcune situazioni. Quindi un film li fa piangere ma ne riconoscono la finzione, con gli sconosciuti ci parlano ma non ci vanno a cena riconoscendone il rischio e così via. Quello che accade con i social, e con la tv verità, invece, ha a che fare con la vita vera. E non importa se è un mondo ammantato di menzogne, il fatto è che è spacciato per vita vera, e l’ipersensibile, pur riconoscendone i limiti, va in cortocircuito. Perché chi è che sa esattamente cosa è vero e cosa no di quello che vediamo in tv o su internet? Se non c’è un disclaimer che ci indica la falsità di ciò che stiamo guardando, come per le figure sui pacchi di merendine, come possiamo essere sicuri che quello che ci viene offerto come vero in realtà non lo sia e vada affrontato come cinema?

L’immagine del prodotto è puramente indicativa” – Progetto di Pondo3000.com

Personalmente sono entrata in un tunnel abbastanza assurdo in questi giorni, ho visto cose che mi hanno scosso. Ho razionalmente valutato la possibilità concreta che siano parte di un copione eppure non sono riuscita a non farmi coinvolgere. Ho una certa età, non rientro certo nella categoria adolescenti, eppure mi sono sentita travolta. Perché quando ti vendono una cosa come vita vera e a quella vita vera corrispondono reazioni positive e negative del mondo, e tu quella vita vera l’hai vissuta più o meno in egual misura, quelle reazioni, quei giudizi, quegli sguardi, quelle offese te li senti addosso. E non importa se la persona in questione recita, tu non lo sai, e neppure chi commenta lo sa, quello che si scatena intorno è, a tutti gli effetti, reale.

Come sopravvivere? Con la gentilezza

Io non credo che la preoccupazione dei social o dei reality debba necessariamente essere quella di abbattere gli stereotipi, del body positive, dell’eliminazione dei filtri. Io credo che il danno maggiore lo si faccia quando non si riesce più a distinguere il falso dal vero. Quando si innesca un cortocircuito tra chi abita una second life 4.0 e chi ogni mattina si alza dal letto e affronta i propri mostri scendendo dal letto. Tutta questa finta verità è dannosa, lo è per chi ha ben chiara cosa sia la realtà figuriamoci per chi non l’ha ancora sperimentata in tutta la sua complessità. Poiché non è semplice ribaltare alcuni paradigmi e uscire dai gineprai che questa realtà virtuale crea continuamente, a mio avviso c’è solo un modo per sopravvivere ed educare i ragazzi (e anche gli adulti) a tenere i piedi nel reale, ed è la gentilezza. Uno degli aforismi più famosi di Platone recita

Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre.

Calando questo concetto in quest’epoca mi verrebbe quasi da ampliare i destinatari della gentilezza ad “ogni persona che potrebbe leggere ciò che scrivi su un social o ascoltare ciò che dici in tv”. Questo non vuol dire che non si è liberi di esprimere la propria opinione, vuol dire che si deve stare attenti a sparare sentenze soprattutto se si tratta di situazioni che vengono presentate come esperienze di vita vissuta, perché in questo caso c’è sicuramente qualcun altro che le avrà vissute, che leggerà il vostro commento o il vostro giudizio sprezzante e penserà anche di me che ho avuto un’esperienza simile diranno questo. E la cosa assurda è che chi ha scritto non saprà mai di aver fatto male a chi ha letto.

A proposito di gentilezza vi lascio così con un pezzo di Niccolò Fabi, che ascolto spesso quando si tratta di ipersensibilità e di dolcezza, Prima della Tempesta tratto dal suo ultimo lavoro Tradizione e Tradimento che è il racconto di una guerra che l’uomo non può vincere, perché il reale ad un certo punto rimette sempre a posto le cose.

Cominciamo ad insegnare la gentilezza nelle scuole, che non è dote da educante ma virtù da cavaliere”
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