L’ultimo film di Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York. Una commedia romantica ambientata in una New York piovosa e benestante, tra cliché, arte, spettacolo, tra i ritmi vitali e caotici dell’emblematica “city that never sleeps”. Un protagonista Gatsby, fuori tempo. Intelligente e colto, disilluso e innamorato. Nevrotico. Come tutti i personaggi di Woody Allen. Nevrotico e in analisi.
Sullo sfondo un conflitto familiare irrisolto dal lato materno che grazie ad un deus ex machina permette al protagonista finalmente di ritrovare il suo desiderio. Il desiderio che muove la vita di ognuno. Sembra quasi che lo spettatore sia accompagnato nel percorso di analisi del soggetto protagonista che in novantadue minuti di film nonché un weekend nella sua città natale, ripercorre le tappe della sua vita confrontandosi con ogni attore della sua infanzia e adolescenza. L’incontro con il passato e lo scontro con un presente non senza tormenti si rivela catartico. E’ quasi sconcertante la leggerezza con cui venga rappresentata la natura profonda dell’essere umano, conturbato dalla sua condizione nevrotica.
Eppure, lo psicoanalista francese Jacques Lacan, sosteneva che la fine di un’analisi si trova dal lato della commedia e non della tragedia. E’ un buon incontro, come nel film, che rivela al soggetto tutta la comicità della sua esistenza. La drammaticità dell’esistenza umana è una commedia. La nevrosi è lì, esiste in ogni personaggio, ognuno con il suo sintomo. Quello che non esiste è la normalità.
D’altronde come faceva notare l’epistemologo francese Georges Canguilhem, il concetto di normalità si è costruito a partire dal concetto di malattia e non viceversa. Le norme mediche, su cui agiscono decisioni prese a livello istituzionale, strutturano il campo dove della malattia si fa esperienza e ne determinano l’ingresso nella razionalità: non è più il vivente ad essere soggetto di una normatività, è la medicina ad assumere posizione normativa nella gestione dell’esistenza umana (citiamo qui Mario Porro nella Prefazione del libro “Il normale e il patologico” di Georges Canguilhem, edizioni Einaudi, 1998). Il normale è rappresentato in statistica come il punto più alto di una curva. E dunque Canguilhem si chiede: “Lo stato patologico è soltanto una modificazione quantitativa dello stato normale?”. Normale nel vocabolario Treccani è indicato come ciò che segue la norma, conforme alla norma, quindi consueto, ordinario, regolare.
Nel film di Woody Allen il normale non è rappresentato, così come nella vita reale. Ciò che viene rappresentata è l’esistenza umana con i suoi limiti, le sue debolezze, le sue nevrosi. Nevrosi che alla fine restano, ma in altro modo.
L’analisi dunque non appare come una forma di guarigione ma per dirla con Lacan è una terapia non come le altre. L’analista è responsabile molto di più che della guarigione, egli è responsabile della posizione soggettiva del suo analizzante. La psicoanalisi così non mira ad adattare il soggetto agli ideali familiari e sociali ma mira a riconciliarlo con il suo desiderio secondo le leggi umane, proprio come accade al protagonista del film.