Cosa resta di Edith Finch? No, davvero: cosa resta? Poco e moltissimo. Ma se un videogioco riesce a contenere vibe antologici, diaristica e tinte di genere, dilettandosi col romanzo di formazione e con l’elaborazione dei più grandi rovelli umani — la perdita, l’assenza, l’identità —, e al tempo stesso si lascia attraversare in qualche ora appena di gioco intensissimo, può apparire complesso riportare su pagina il suo valore. Proviamo ugualmente: ché ne vale la pena davvero.

“If we lived forever, maybe we’d have time to understand things. But as it is, I think the best we can do is try to open our eyes. And appreciate how strange and brief all of this is” suona un po’ tipo “Se vivessimo per sempre, forse avremmo il tempo di comprendere le cose. Ma, visto che così non è, il massimo che possiamo fare è provare ad aprire gli occhi. E apprezzare fino in fondo quanto sia bizzarro e fuggevole il tutto”. Può sembrare un manifesto fricchettone, a voler essere indulgenti: e invece spiazza e commuove persino, forse, quando arriva a mangiarsi lo schermo e la nostra esperienza di gioco. Che parte lontano.

Una casa di cui sciogliere i misteri

Siamo a Washington;  lo Stato, non la città. Un fogliame fitto e dei sentieri solo apparentemente tortuosi – niente open world da queste parti, né vagabondaggi da free roaming: al contrario, un binario serratissimo entro il quale cercare una libertà immaginifica capace di riscrivere davvero parecchio immaginario legato ai generi narrativi – si aprono per rivelare a chi gioca la sagoma bizzarra di Casa Finch. Più che una casa è un landmark, notevole monumento locale che eterna la storia minuscola e quella maiuscola – benché inventata, naturalmente. E, nei panni dell’ultima discendente della famiglia che l’ha posizionata, edificata e animata (non necessariamente in quest’ordine!), come gamer ci toccherà trovare il modo di entrare e sciogliere i numerosi misteri di cui è guardiana. La casa, non la discendente. Ahem.

What remains of Edith Finch

Ma è un horror, questo? Niente di più impreciso. What remains of Edith Finch è un gioiello di aneddotica e… araldica, verrebbe da scrivere; muovendoci lungo una linea del tempo che è tutto fuorché lineare, ricostruiamo la genealogia di questa intricata famiglia statunitense fino a testarne origini ed esiti. In tutti i sensi. 

Il gameplay garantisce una varietà di toni e una gamma emotiva pari soltanto al numero dei personaggi che incontreremo lungo il percorso: laddove incontrare è però parola fortemente impropria, se teniamo conto del fatto che la prospettiva resta quella, in prima persona, di una serie di soggetti evocati da righe e pagine di paratesti (lettere, fotografie, tavole di graphic novel, mappe intere, paragrafi di autofiction) – tutti ricostruiti con minuzia certosina fino alla resa tridimensionale delle loro ultime ore sul pianeta. 

Sarà che la parola heritage è una di quelle incredibili matrioske di senso che appartengono agli anglofoni e possiamo solo provare a spacchettare. Sarà che rinvenire al suo interno eredità materiali e retaggi culturali, lasciti tangibili e intangibili la riempie di fascino: è proprio una faccenda di heritage, questa della famiglia Finch. Di radici e riscoperte. Di attici polverosi e passaggi segreti nelle intercapedini. Di sotterranei che nascondono insidie nient’affatto stereotipate. E di camerette incastrate tra il vintage nostalgico e lo strazio profondo.

What remains of Edith Finch

What remains compete dunque con altre grandissime narrazioni per sperimentalismo e garbata spietatezza; ed è il primissimo titolo lanciato da Annapurna Interactive, il braccio videoludico di quella Annapurna Pictures (A home for creators) che,  negli ultimi dieci anni, ha prodotto tanto cinema formidabile: dal predittivo Her a The Master, immenso, passando per Zero Dark Thirty.

Dopo aver colonizzato, negli anni, PC, PS4, Xbox One e Nintendo Switch, a metà agosto 2021 il gioco si affaccerà finalmente anche su iOS, procacciandosi in potenza un grosso bacino nuovo di zecca nel quale pescare gamer che ancora devono fare la conoscenza di Edith Finch e della sua strampalata, lacerante, quirky-as-hell famiglia allargata: per retorico che sia, speriamo che la fortuna di questo circo continui a sorridere a lungo. E che generi epigoni in grado di garantire esperienze di gioco altrettanto “intime, emozionanti e originali” — che è il brand di Annapurna e insieme la sua promessa.

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