Torno da una full immersion di poco più di ventiquattro ore nella storia e nel paesaggio di Casale Monferrato.

La prima cosa che mi viene da dire – e la dirò ovunque mi è possibile – è questa: andate in vacanza in quella parte di Monferrato. L’area è stata massivamente bonificata dall’amianto, a livello di edifici pubblici, di proprietà privata, la stessa area della fabbrica è stata trasformata in un vasto parco assolato (quello in foto).

Nel 2019 il comune di Casale era bonificato circa al 90% (prendo questo dato dal discorso di un convegno che mi ha gentilmente fornito Bruno Pesce, segretario della camera del lavoro CGIL all’epoca delle prime lotte).

Nel 2014 il governo ha stanziato 65 milioni di euro, di cui 22 per gli incentivi privati. Le persone quindi si sono fatte avanti, segnalando l’amianto da bonificare nelle proprie case e terreni. Sì, perché ai dipendenti l’Eternit – fra le varie concessioni che rendevano quel lavoro un posto ambito – dava gratuitamente uno scarto di lavorazione chiamata polverino con cui in molti avevano rivestito stradine private, aie, sottotetti, perfino il sagrato di una chiesa. La bonifica delle zone private era ed è essenziale.

Oggi però Casale, come scrive Alberto Gaino nel libro Il silenzio dell’amianto, è altro. Non è definibile solo per la questione dell’amianto, e se il tasso di mortalità per le malattie legate all’Eternit è ancora alto è perché la stanno pagando i bambini e le bambine di allora, quelli che magari abbracciavano il papà con la tuta sporca di polvere.

Ecco cosa succede quando il profitto si somma ai bias culturali legati al lavoro e le catastrofi ambientali non sono arginate subito: chi ne paga le conseguenze è sempre il futuro.

Casale però ad oggi 2022 è altro, dicevamo. È una città di cultura, dove ti si aprono dal niente meravigliosi palazzi settecenteschi dai quali potrebbe spuntare a ogni minuto una dama in crinoline e parrucca.

C’è un bellissimo duomo con un Cristo antico in argento e un’avvolgente volta stellata. Le campagne sono punteggiate da paesi con le case costruite con Pietra da Cantoni, che gli dà quel tipico colore giallo. Scavati nella pietra sono gli infernòt, stanze sottoterra spesso adibite a cantine, e sì, sono visitabili. Per i vegani, nel centro del paese c’è un ristorante che non scorderete facilmente.

Le persone poi, sono di un’accoglienza rara.

Ecco, rientrando nei ranghi del tema di questo blog, la mia guida è stata Assunta Prato. Assunta è una delle figure forti che si sono trovate al centro della lotta per la giustizia, la bonifica e la ricerca a Casale.

Suo marito si chiamava Paolo Ferraris, era assessore regionale e portò i primi fondi pubblici nella cittadina per contrastare con la bonifica la vera e propria strage che stava avvenendo.

Nel 1994 si ammalò di mesotelioma, il tumore della pleura legato all’amianto, che non lascia scampo. E non era un operaio, non aveva mai messo piede nella fabbrica. Assunta allora ha continuato la lotta – perché le diatribe giudiziarie sono ancora in corso, vedi il Processo Eternit bis – assieme a uomini e donne che resistono due volte: per se stessi e per i cari che hanno perso. Oltre che per il diritto di vivere nella propria città in salute.

Assunta qualche anno fa ha scritto il testo per una graphic novel che Gea Ferraris, fumettista casalese, ha illustrato. Si chiama Eternit, dissolvenza in bianco ed è un libro che entra nel privato di alcuni dei protagonisti della lotta all’amianto, raccontando le loro storie dagli anni Settanta al presente narrativo.

Ci sono i sindacalisti Nicola Pondrano e Bruno Pesce, il primo interno alla fabbrica mise sotto gli occhi dell’altro la situazione preoccupante degli operai Eternit, la dottoressa Daniela Degiovanni, che appena uscita dall’università iniziò a lavorare al patronato INCA trovandosi davanti le file di operai Eternit per farsi visitare.

Poi ci sono le storie, quella di Assunta, quella di Giuliana Busto attuale presidente dell’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto (AFeVA) che ha perso un fratello impiegato in banca di trentatré anni e runner perché andava spesso a correre nei pressi della fabbrica, quella di Romana Blasotti Pavesi la presidente storica dell’AFeVA che in questa storia atroce ha perso il marito, una sorella, un nipote e la figlia.

Guardate che la questione amianto non inizia e finisce a Casale. La popolazione di Casale, a partire dallo stimolo dei primi che hanno iniziato la lotta operaia che ha portato alla consapevolezza, ha reagito e tutt’ora reagisce.

Questa resilienza attiva ha portato la cittadina ad essere un “modello per la vita dopo l’amianto” (la definizione è di Rosy Battaglia) quanto a bonifica, smaltimento, accompagnamento ai malati, sensibilizzazione nelle scuole e quant’altro. Ma ci sono altri luoghi, altri paesi, altre mancate bonifiche.

Se la vogliamo vedere a livello globale poi, c’è l’intero genere umano che si sta giocando il pianeta terra per il business as usual“Cambiare un sistema complesso”, scrivevano i Fridays for Future in questo articolo, “significa mutamenti radicali in molti ambiti” e per un mutamento che sia reale occorre coraggio e – di nuovo – resilienza.

Ecco, questa graphic novel passa, in linguaggio fruibile a tuttə, l’aspetto della storia di Casale da cui si può trarre insegnamento: non bisogna fermarsi alla narrazione persuasiva e alla strategia del consenso che la multinazionale paternalista di turno offre quando c’è di mezzo una minaccia alla salute e al benessere.

Bisogna al contrario andare a fondo e riconoscere i bias culturali che offuscano la vista. Perché un lavoro si ritrova, si crea dal nulla se necessario. La vita invece non la rende nessuno.

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