Un maggio di fuoco, non solo per le anomale temperature che stanno riscaldando tutta la penisola. Ad infiammare gli animi ha contribuito anche Elisabetta Franchi, ospite dell’evento Donne e moda: il barometro 2022 promosso da PwC Italia e da Il Foglio, il 4 maggio 2022.

“Quando metti una donna in una carica importante, se è molto importante poi non ti puoi permettere di non vederla per due anni. Io da imprenditore spesso ho puntato sugli uomini”. 

Elisabetta Franchi

Questo è il virgolettato che ormai chiunque ha letto almeno una volta, seguito da affermazioni legate alle politiche di assunzione assolutamente discriminatorie e da considerazioni dell’imprenditrice che hanno fatto storcere il naso a tanti suoi colleghi.

Non serve ora elencare le volte in cui siamo stati testimoni di pratiche scorrette, nella nostra esperienza lavorativa: direttamente, durante un colloquio o per la comunicazione di qualche giro di boa, oppure indirettamente, come inermi spettatori del declino di qualche collega, con magari poca propensione verso un lavoro h24.

Uomo o donna, poco importa; le discriminazioni sono per tutti, anche se la stessa Franchi sottolinea come ci sia ancora per alcuni un evento capace di portare tanta gioia personale quanto dispiacere professionale: l’arrivo di una nuova vita.

Congedo maternità obbligatorio e facoltativo: cosa dice la legge

Ciò che per lo più viene ignorato, quando si parla di congedo maternità per lavoratrici dipendenti, è che i famigerati due anni che tanto spaventano i responsabili delle assunzioni siano piuttosto difficili da raggiungere, se non con una somma di agevolazioni messe a disposizione dei futuri neo genitori e non sempre fruibili.

Partiamo dal congedo obbligatorio: il Decreto Legislativo n. 151/2001 e successive modifiche (Legge 145/2018 – c.d. legge di bilancio) definiscono la sua durata in 5 mesi, usufruibili dalle lavoratrici nella formula tradizionale (2 mesi prima del parto e 3 dopo) oppure, a discrezione delle lavoratrici e in accordo con il medico curante e il medico del lavoro, rinviabile parzialmente o totalmente al post parto. Durante questi mesi, è garantita un’indennità pari alla media degli ultimi stipendi, anche in caso di adozione: stipendio pieno, dunque, per le prime fasi di accudimento.

Esiste poi il congedo parentale: un periodo di astensione dal lavoro facoltativo pari a 6 mesi totali, regolamentato dal Decreto Legislativo n. 80/2015 e usufruibile alternativamente dai genitori entro i 12 anni di vita del bambino o della bambina.

L’indennità riconosciuta scende però al 30% della retribuzione media se richiesto entro i primi 6 anni, altrimenti è nulla. E se è vero che ogni genitore fa i suoi conti, è innegabile che un’assenza prolungata a queste condizioni non sia una scelta praticabile sempre, così come non tutte le neomamme aspirano a rimanere lontane dal posto di lavoro tanto a lungo. Si tratta di valutazioni personali, meritevoli sempre del dovuto rispetto.

Maternità anticipata:
non per tutte le lavoratrici

Sommando i due congedi arriviamo a 11 mesi. Dunque perché ci stiamo accapigliando per questi famigerati 2 anni? 

Ci sono casi in cui la gravidanza è incompatibile con l’attività lavorativa, oggettivamente rischiosa o eccessivamente faticosa, in luoghi di lavoro dove la futura madre non può essere temporaneamente destinata ad altre mansioni.

Ci sono poi i casi in cui intervengono problemi di salute personali. In queste situazioni l’ASL di competenza o l’organo di Direzione Territoriale del Lavoro provvedono a esonerare la lavoratrice anche nel periodo precedente al congedo obbligatorio, garantendole al contempo un’indennità piena fino al suo scadere. Un caso che può verificarsi, ma non rappresentativo della totalità delle gravidanze e dunque non utilizzabile come sommaria statistica.

Esiste anche un congedo di paternità?

La Legge di bilancio relativa all’anno 2022 ha reso obbligatorio anche per i padri un congedo di 10 giorni retribuito al 100%, fruibile entro i primi 5 mesi di vita del figlio o della figlia. Un timido tentativo di coinvolgere attivamente entrambi i genitori nell’organizzazione della cura della nuova vita, ancora insufficiente se paragonato alle iniziative di altri Paesi Europei.

Personalmente ho avuto due gravidanze, vissute in due aziende diverse sia per me che per mio marito. Quello che accomuna le quattro esperienze totali è il vuoto culturale e formativo che ancora avvolge tante realtà imprenditoriali italiane di piccolissime e medie dimensioni, lasciate in balia della burocrazia e del sentire comune, senza supporti nello strutturare vere politiche di welfare o di cura dei propri dipendenti, ma assuefatte da paure e leggende rovinose, alla ricerca di continue conferme.

Forse è per questo vissuto non proprio conciliante che trovo di straordinaria ispirazione il libro Lo faccio per me, essere madri senza il mito del sacrificio di Stefania Andreoli, edito da Rizzoli. Tra le pagine, la dottoressa guarda al ruolo contemporaneo delle donne e delle madri, avanzando una nuova chiave di lettura dei cambiamenti che nonostante le resistenze stanno iniziando ad ispirare un nuovo assetto della società.

Un libro adatto a tutti, indistintamente, che destruttura stereotipi, pone domande concrete e suggerisce risposte assolutamente equilibrate e di buon senso anche ad affermazioni come quelle di Elisabetta Franchi e forse, per questo, così rivoluzionarie.

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