“I feel a little disconnected” suona James Hype e canta Tita Lau, in un pezzo di musica elettronica uscito nel dicembre del 2021 e ancora abbastanza popolare in radio e nei locali. Al di là dell’apprezzamento per il genere, sicuramente è una frase in cui tanti lavoratori che sperimentano lo smart working si riconoscono… o vorrebbero farlo.

Ormai è noto quanto sia difficile tracciare un confine che divida la sfera privata dalle telefonate ed email di lavoro, che spesso arrivano anche dopo le classiche diciotto o nei weekend, costringendoci a dare una sbirciatina preventiva.

Un eccesso di zelo non sempre volontario o retribuito che dovrebbe essere normato dal diritto alla disconnessione, ovvero la possibilità per un lavoratore in smart working o agile di non garantire reperibilità in ogni momento della giornata, anche se in possesso di attrezzature aziendali come smartphone o computer, a meno che non sia espressamente richiesto dal proprio contratto di lavoro.

Lo stato del lavoro: le analisi dell’INAPP

L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, abbreviato in INAPP, ha prestato particolare attenzione allo sviluppo del lavoro da remoto negli ultimi anni, con diverse ricerche sul campo. L’ultimo contributo in ordine di tempo si intitola Utilizzo e prospettive dello smart working ed è stato presentato lo scorso 29 settembre a Benevento.

Un report lungo 103 pagine, con l’obiettivo di sollecitare un confronto con la comunità scientifica e le istituzioni, al fine di orientare i policy maker verso specifiche misure e forme di regolazione per un migliore e più efficace utilizzo di questo strumento ora che l’emergenza pandemia si è attenuata. 

Il documento si apre con una dettagliata indagine circa il mai troppo discusso divario uomo/donna tra ore lavorate e contrattualmente desiderate, complice spesso l’assenza di una reale suddivisione del carico di cura all’interno dei nuclei familiari con minori e/o anziani e di una radicata componente patriarcale circa il ruolo femminile nella società, per poi immediatamente evidenziare come lo smart working sia invece un’esigenza universalmente presente.

La regolamentazione attuale: dalla legge 81/2017 alle paure legate allo smart working

Torniamo sempre a citare la legge 81/2017, la più recente in tema di lavoro agile. Il testo affronta velocemente anche il tema del diritto alla disconnessione, e prevede che sia stipulato un accordo scritto per le modalità del lavoro agile in cui siano individuati anche “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

Largo alle intese tra singola azienda e dipendenti quindi, senza specifiche regolamentazioni statali come invece accade in paesi come la Francia, che regolamenta il diritto alla disconnessione già dal 2017 dopo un dibattito iniziato già alla fine degli anni Novanta.

In effetti, sembra che il diritto alla disconnessione non sia un tema così sentito al di qui delle Alpi: nelle sue indagini l’INPP identifica, come principali paure da parte dei lavoratori agili italiani, la preoccupazione riferita alla riduzione della socialità professionale, l’aumento dei costi fissi domestici, le preoccupazioni relative alla possibile riduzione di crescita e sviluppo professionale o alle difficoltà di far rispettare diritti e mantenere tutele. La gestione delle comunicazioni fuori orario diventa così spesso uno scotto da pagare, più o meno felicemente, per mantenere i vantaggi della flessibilità.

Il diritto alla disconnessione si adatta al settore di appartenenza e al ruolo

Il report riporta poi una dettagliata analisi dei tempi di connessione e disconnessione, suddividendo il campione in diverse fasce professionali omogenee tra loro. Ne risulta che chi è impiegato in settori professionali intellettuali, scientifici e di elevata specializzazione dichiara di poter usufruire di più pause durante l’orario di lavoro rispetto a chi è impiegato in attività commerciali o nei servizi, così come quasi il 70% degli appartenenti all’alta dirigenza dichiara di possedere maggiore autonomia nello scegliere liberamente quando disconnettersi, percentuale in netto calo nelle altre mansioni.

Altro aspetto su cui avviare una riflessione riguarda coloro che dichiarano maggiormente di avere una connessione sempre attiva: sono gli impiegati di ufficio esecutivi, i quali si attestano al quasi al 52%, mentre i profili più tecnici generano percentuali inferiori.

In conclusione, le analisi di INAPP ci restituiscono un quadro frammentato e fortemente soggetto alle impressioni individuali dei lavoratori e delle lavoratrici, nonché alle decisioni delle singole aziende.

Una situazione inevitabile a inizio 2020, quando d’improvviso lo smart working è diventato una necessità e non solo un’opzione poco conosciuta, ma che dopo quasi tre anni dovrebbe essere seriamente presa in carico nell’ottica di una riforma dei contratti collettivi, per renderli più in linea con le attuali necessità delle aziende e della forza lavoro.

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