In questi giorni nelle sale cinematografiche è proiettato Lubo intenso film di Giorgio Diritti, tratto dal romanzo Il seminatore di Mario Cavatore. Il film si ispira a fatti realmente accaduti nella civile e neutrale Svizzera nel periodo che va dal 1939 a tutta la seconda guerra mondiale e testimonia il rapimento di massa dei figli della popolazione nomade Jenisch, atto perpetrato scientemente dal governo svizzero.

I bambini furono strappati alle loro famiglie in modo subdolo e portati in vari istituti, per poi essere educati e scolarizzati e privati della loro “indole selvaggia e ribelle di nomadi”.

I più fortunati e remissivi, coloro che riuscirono ad adattarsi e a studiare, furono affidati a famiglie benestanti, gli altri furono invece destinati a famiglie di contadini che spesso li trattavano come schiavi.

Di molti  purtroppo se ne persero le tracce”.

Questo scandalo venne alla luce solo negli anni ’70, grazie ad alcune donne che furono testimoni dei rapimenti ma solo negli anni ’80 la Svizzera riconobbe il crimine di Stato commesso, e stabilì il diritto ai risarcimenti.

La storia di Lubo

Il film racconta la storia di Lubo, un nomade Jenisch. L’uomo, sua moglie e i loro tre figli, vivono in Svizzera dove si esibiscono nelle piazze dei paesi e si procurano il necessario per vivere.

Nei loro spettacoli non c’è violenza nè sfruttamento di animali, solo musica e affabulazione”.

Questa tranquillità è interrotta però dalla guerra che incombe. Mentre Lubo viene arruolato a forza nell’esercito, al fine di difendere i confini della nazione che lo ospita, i suoi figli vengono rapiti e la moglie muore nel tentativo di proteggerli. Quando Lubo viene a conoscenza di tutto questo non si dà pace e vuole a tutti i costi ritrovare i suoi bambini, per questo diserta e commette un grave crimine. Ed è così che uccide e assume l’identità della sua vittima, un austriaco che portava con sé le ricchezze di molte famiglie ebree. Per Lubo, ormai divenuto ricco, inizia una seconda vita ma sempre alla ricerca dei figli.

“Sa leggere e scrivere e, avendo frequentato la scuola cattolica, si inserisce facilmente nell’èlite svizzera”.

Una seconda vita, alla ricerca della verità

Lubo riesce così ad avere accesso a molti documenti e testimonianze dei rapimenti di massa. Frequentando gli ispiratori del misfatto, deve reprimere la rabbia quando ascolta le loro farneticazioni sulla rieducazione dei bambini nomadi. Visita quindi gli istituti dove sono ospitati, o meglio reclusi e rieducati, senza però ritrovare mai i propri figli. Ad un certo punto della sua vita, quando è quasi rassegnato e sta per formarsi una nuova famiglia, la verità tuttavia emerge: finisce in prigione non prima di aver affidato però tutti i documenti raccolti negli anni ad un commissario di cui si fida, affinché si arrivi alla verità.

Il film è molto intenso. La storia e la sceneggiatura catturano l’attenzione così come l’ambientazione, la fotografia, i costumi e il trucco dei personaggi, molto fedele alla realtà. La pellicola, nonostante sia lunga e racconti una storia tragica, scorre però senza momenti di stanchezza.

I popoli nomadi, i Rom, furono perseguitati e uccisi in numero impressionante durante la seconda guerra mondiale: cinquecentomila su un milione, circa, che viveva in Europa.

Una vera e propria pulizia etnica mirata a bloccarne la riproduzione per annullare la loro presenza in Europa”.

Il finale di questo film è molto amaro. Non c’è giustizia per Lubo, né per i suoi figli. Come non c’è stata giustizia per le altre vittime dell’Olocausto, infatti dopo la seconda guerra mondiale la discriminazione continuò soprattutto nell’Europa dell’Est. La Repubblica Federale Tedesca, sancì infatti che la persecuzione dei Rom non fu causata da pregiudizi razziali ma perché avevano commesso dei crimini.

Solo nel 1979 la Germania occidentale riconobbe ufficialmente la persecuzione dei Rom e diede loro la possibilità di chiedere risarcimenti. Ma le domande furono pochissime, poiché la maggior parte dei testimoni era ormai morta.

Oggi i Rom sono ancora una popolazione discriminata, nonostante tanti progetti che mirano alla loro integrazione.

Cito il progetto HERO/Housing Employment for ROma People che ha l’obiettivo di:

“Contribuire a cambiare le prospettive del pubblico generale nei confronti delle comunità Rom, facendo emergere la loro cultura e riducendo la diffidenza e la paura che circonda questi gruppi“.

Non sempre purtroppo si riesce ad essere imparziali nei loro confronti, spesso

“integrazione” per la maggior parte delle persone significa “omologazione”.

Vorremmo che loro diventassero come noi, che rispettino le nostre regole e si adattino, senza compromessi. Conosco solo superficialmente la loro cultura e le loro tradizioni, non so nulla del loro modo di vivere e del lavoro che svolgono. Dovremmo aprirci maggiormente e superare i pregiudizi che proviamo. Dovremmo forse capire che non c’è un solo modo giusto di vivere (il nostro?). Perchè pensiamo che tutte le nostre regole possano essere adattate per intero a tutti?

L’informazione in questo non ci aiuta perchè il valore della tradizione Rom non è spesso diffuso. Non ci sono luoghi e monumenti che aiutino a ricordare il loro passato e la loro cultura nonostante si celebri l’8 aprile la Giornata Internazionale dei Rom Sinti e Camminanti, istituita nel 1990 per sensibilizzare l’opinione pubblica sui loro problemi.

Quando impareremo a considerare l’arte e la cultura citandone la provenienza Rom e non parlare nei loro riguardo sempre superficialmente di crimini e di criminali? Quando impareremo ad uscire dagli stereotipi?

C’è ancora molta strada da fare, ma Lubo ci aiuta ad avvicinarci alla verità”.

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