Magnificat è il primo romanzo di Sonia Aggio. Pubblicato da Fazi Editore nella collana Le strade questo settembre 2022. Lo stesso romanzo, ancora inedito, era stato fra i segnalati del Premio Italo Calvino nel 2020. Aggio è originaria di Rovigo, classe ’95.

Il nome non mi era nuovo. Quando frequentavo più assiduamente la lit-web e leggevo ogni settimana (quasi) tutti i racconti che venivano pubblicati sulle varie riviste, Sonia Aggio era uno di quei nomi di cui non mi perdevo una pubblicazione.

I suoi racconti erano precisi (non sbagliava la scelta di una parola o il ritmo di una frase), suggestivi, originali, intrisi di notturno e di una sorta di cosmologia mitica (c’era sempre altro al di là della breve trama del racconto e dei personaggi, un’altra storia che aveva a che fare con un altro piano, distaccato dalla materia).

Dai racconti al romanzo,
il percorso di una scrittrice

L’esempio di Aggio può essere preso come campione per tracciare uno dei percorsi tipici che portano all’esordio. Come abbiamo accennato, l’autrice è apparsa nel panorama della lit-web (la cosiddetta bolla) grazie ai racconti. Quando conosci un’autrice dai racconti e sai che ha scritto un romanzo, da lettrice ti aspetti una sola cosa: che nel romanzo non venga tradito lo stile e l’immaginario al quale sei stata abituata. E infatti Sonia Aggio non tradisce i suoi lettori, anzi, li sorprende dando più di quanto si aspettino.

Il salto dai racconti al romanzo sicuramente non è semplice, si tratta di due approcci di progettazione e scrittura totalmente diversi. Non condivido l’idea che i racconti servono magari solo per abituarsi alla scrittura, per allenarsi nell’attesa di scrivere un romanzo. Si tratta di due generi diversi, ma alla pari. Il racconto non è la sala d’attesa del romanzo.

Magnificat è un’eccellente prova per un’autrice che viene dai racconti.

Prima interruzione personale

Ho letto Magnificat in e-book sul cellulare. Ormai mi sto fossilizzando (ma perché non dire entusiasmando?) a leggere gli e-book dal cellulare.

La copertina del libro mi prende tutto lo schermo, è molto suggestiva. Si tratta di una riproduzione di una foto di repertorio scattata durante la famosa alluvione in Veneto del 1951. Acqua ovunque, un lago in paese, una casa sullo sfondo (la porta sommersa, ormai è impossibile entrare) e un cavallo di profilo in primo piano, immerso fino a metà. Tutto assurdo. È una copertina perfetta. L’assurdo della tragedia (laddove umano e natura s’incontrano nella tragedia – come se l’umano fosse diverso dal concetto di natura – e quali delle due esistenze ha sopraffatto l’altra?).

La storia di Magnificat senza spoiler

L’esordio di Sonia Aggio parla del rapporto tra Nilde e Norma, cugine da parte di madre. Le due ragazze sono coetanee e fin da bambine hanno avuto un legame molto forte, quasi simbiotico (una sorellanza). Rapporto che si rafforza ulteriormente quando entrambe perdono i genitori nel luglio del 1944 durante un bombardamento. Da quel momento saranno l’unico punto di riferimento l’una per l’altra.

Le cugine, ormai non più bambine, vivono sole in un casolare immerso nella campagna del Polesine, in provincia di Rovigo. Nilde guadagna facendo la sarta, aggiustando ricami, calzini e fazzoletti degli abitanti del paese. È una ragazza responsabile, ingenua e posata. Norma, invece, nonostante il nome non ha nulla dei tratti austeri (la norma alla quale dovrà ubbidire è un’altra e si scoprirà alla fine del romanzo); al contrario è una ragazza vivace, ribelle, che va in giro con la bicicletta a rubare le ciliegie da un albero che conosce solo lei.

La vita delle cugine procede serenamente fino al giugno 1951. Norma torna a casa dal suo solito giro in bicicletta, ma non è più la stessa. La ragazza riferisce a Nilde di essere caduta dalla bicicletta, che non è successo nient’altro. Purtroppo, invece, da quel momento comincerà un incubo per Nilde.

La sua amata Norma pare essere impazzita, non le parla più (se non con poche frasi), l’aggredisce fisicamente, scompare ogni volta che c’è un temporale e sta via tutta la notte. Torna a casa piena di graffi, lividi, e una volta pure con il naso rotto. Nilde, disperata, le chiede continuamente spiegazioni, ma non le riceve. Non riesce a capire cosa stia succedendo a sua cugina, e più volte la insegue per la campagna, verso il fiume, sotto i fulmini del temporale, per scoprire la verità.

Ma fermiamoci qui, avevo detto senza spoiler.

Nilde, Norma e il fiume

In Magnificat le date sono molto importanti e scandiscono i capitoli. Il romanzo è diviso in due parti: la prima parte racconta la vicenda dal punto di vista di Nilde; la seconda parte ripercorre la storia ma dal punto di vista di Norma (per questo il punto di riferimento delle date e l’annotazione dei mesi è importante).

Tra la prima e la seconda parte, un punto nevralgico del romanzo è il capitolo dal titolo La notte dell’alluvione. Sonia Aggio, infatti, per il suo esordio, ha scelto di raccontare un fatto realmente accaduto: la spaventosa e storica alluvione del Polesine avvenuta nel novembre del 1951, che provoco più di 100 morti e tolse la casa a oltre 180mila persone.

Ammetto che prima di leggere Magnificat non avevo idea di questa alluvione storica, ricordiamo che sono nata a Palermo e ci vivo, al massimo ne so di più sui terremoti (o sono solo ignorante e basta).

Da questo fulcro, da questo vortice d’acqua impetuoso che cerca di risucchiare tutto, Aggio ha costruito una storia intrisa di acqua piovana, di misticismo, superstizioni e inquietudini. Il terzo protagonista assoluto del romanzo, infatti, è il fiume e con esso tutto il paesaggio della campagna veneta. Un paesaggio smosso, strozzato, annegato. Il paesaggio è una bocca, e il fiume è la voce. Il paesaggio è una luce, e il fiume è la sagoma che proietta l’ombra creando mostri.

Seconda interruzione personale

Un mio ricordo che si può avvicinare da lontanissimo (senza ovviamente paragonarlo) a un’alluvione provocata da un fiume (detto da me, ragazza che disconosce i fiumi – con tutto che la mia città è stata scavata dai fiumi, ma questa è un’altra storia, e adesso quei fiumi sono dei fantasmi) è l’alluvione di Palermo del luglio 2020, nessun morto. Tutta la città era piena di fango, soprattutto i sottopassaggi si sono riempiti di acqua, che è arrivata ai 4 metri e ha sommerso le macchine, ecc.

In quel momento mi trovavo a casa (e la pioggia era così forte, che credevo avrebbe spaccato i vetri delle finestre – in casa abbiamo degli infissi vecchi e fradici).

La scrittura di tenebra
e presagio di Sonia Aggio

Ho già accennato qualcosa sullo stile di Aggio riguardo ai suoi racconti, uno stile notturno. In Magnificat la ricerca stilistica, che l’autrice ha cominciato con le sue prose brevi qua vede la sua manifestazione più vasta e densa. Lo stile da notturno diventa oscuro, pastoso, di tenebra. E in questo buio (rischiarato solo dai lampi del temporale) emergono il paesaggio e tutte le figure perturbanti di questa storia.

La scrittura di Sonia Aggio riesce nella manovra assai complicata di descrivere temporali che esplodono ogni notte, uno dietro l’altro, fino al giorno dell’alluvione. Perché la definisco una manovra complicata? È molto difficile descrivere un evento paesaggistico (ad esempio, il temporale) senza trascinarsi in lunghe pause descrittive, ma sfruttando l’azione.

Le pagine di Magnificat trasudano acqua piovana, fango, impetuosità. Le descrizioni sono vivissime poiché in continuo movimento. Un paesaggio in azione, un paesaggio che si abbatte su ogni cosa e persona. Le scene della pioggia sono nitide come guardare fuori dalla finestra, sono iper sensoriali. Un disastro che il lettore si sente addosso dalla prima pagina, ma senza capirne il motivo, come un presagio.

Il presagio attraversa le pagine del romanzo come un tremore sulla pelle, quando l’istinto (un istinto nascosto, da belva, ma al contempo emotivo e spirituale) ci dice esattamente che qualcosa sta per accadere. Ed è proprio questo uno dei binomi portanti del messaggio di Aggio: la natura e la civiltà (o meglio, un tentativo di civiltà); l’istinto fisico e l’istinto spirituale; Norma e Nilde. Presagire l’arrivo di un temporale anche nel cielo sgombro di giugno:

“Da ovest viene un fischio. Nilde si volta, vede la polvere alzarsi sulla strada, poi un soffio rovente la investe. Alza una mano a proteggere il viso. «Ma cos’è?».

Norma posa a terra il martello, mette i gomiti sulle ginocchia. «Arriva un temporale», risponde.

Lei guarda il cielo sgombro. «Non vuol dire niente!», sbotta Norma.

«Sta arrivando un temporale».

Nilde non sa cosa rispondere. Rientra per prendere i lavori finiti.

«Se dovesse piovere», dice, lo sguardo basso, «chiudi tu».

Il lampo la sorprende alla fine del giro, dalla signora Ravagnani. Per un attimo, lei e la donna restano impietrite, si guardano al di là del lenzuolo (…) Il temporale riempie il cielo di una luce verde.”

Terza interruzione personale

Scrivo questo pezzo su Sonia Aggio un martedì di dicembre. Fino a qualche giorno fa qua a Palermo c’erano 24 gradi pure di notte. Raffiche di scirocco. Aspettavamo la pioggia, ma non è arrivata. Arriva poche volte.

Ho cambiato drink. Sono tornata al gin tonic e alle birre, cose così. Se ho cambiato drink è perché sto meglio. Per tre mesi mi sono fissata a prendere solo Negroni e Boulevardier, finché non mi è venuta la nausea. Ero sempre ubriaca.

Il mese scorso, quindi durante il periodo Negroni, sono uscita una sera. Per strada ho sentito subito un odore gonfio e subacqueo di pioggia, che mi aveva fatto venire i brividi, sbavavo di eccitazione. Camminavo per il mio quartiere verso la Tavernetta, e ha cominciato a piovere, finalmente. All’inizio erano spilli liquidi, piume sulla faccia, cadevano piume.

Quando ha rinforzato ho aperto il mio ombrello giallo mezzo scassato – ho pensato per l’ennesima volta che un giorno caverò un occhio a qualcuno. La pioggia continuava, camminavo sola, l’orlo dei jeans strappati si stava già infangando. Ho pensato: “Ma che sto facendo?”, così ho abbassato l’ombrello e mi sono presa la pioggia, finalmente. Ho chiuso gli occhi e ho camminato così per qualche metro, tanto la strada la so a memoria.

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