Venti anni fa, era il 14 febbraio 2004, il cadavere di Marco Pantani fu trovato in una stanza del Residence Le Rose sul lungomare di Rimini. Il Pirata – tutti lo chiamavano affettuosamente così per via della bandana sempre in testa e per il suo atteggiamento un po’ sfrontato e aggressivo – se ne era andato a soli 34 anni. Ancora oggi, forse, senza un perché.

Tanti i dubbi, gli indizi, le piste che poi, nel corso del tempo si rivelarono false, tante le mezze verità, un giallo insomma che ancora oggi fa discutere, la morte – per certi versi inaccettabile – del grande campione di Cesenatico, un ciclista da podio come pochi ne nascono.

Pantani, i tanti misteri sulla sua morte

L’autopsia effettuata sulla salma di Pantani rivelò che la morte era sopraggiunta in seguito a un edema polmonare e cerebrale dovuto a un’overdose di cocaina e psicofarmaci. La tesi del suicidio del Pirata è però sempre stata osteggiata con forza dalla madre Tonina Belletti, che dalle incongruenze nelle ricostruzioni ha da subito sostenuto la pista dell’omicidio e che ancora oggi è convinta che il figlio non si sia suicidato.

Una morte, quella di Pantani, che ha fatto discutere per anni e che oggi, a venti anni da quel tragico San Valentino, sta per registrare una nuova richiesta di archiviazione della terza indagine da parte della Procura di Rimini. Non fu omicidio.

La carriera, il successo, il declino del campione e dell’uomo

Professionista dal 1992 al 2003, Marco Pantani ottenne in tutto 46 vittorie in carriera, con i migliori risultati nelle corse a tappe. Si consegnò alla storia per esser entrato nel ristretto novero di atleti in grado di centrare la cosiddetta doppietta Giro-Tour, trionfando nei giri d’Italia e di Francia nella stessa annata (1998), ultimo ciclista a riuscire nell’impresa. Entrato subito nel cuore del tifo ciclistico, Pantani, riuniva in sé la fede sportiva italiana; quando scattava con forza e adrenalina alzandosi sui pedali era imbattibile e inarrestabile, un campione di quelli che accompagnano la vita e la storia di un popolo intero.

La sua fu però anche una carriera costellata da incidenti e contrattempi più o meno gravi, che a più riprese resero difficile il suo ritorno alle gare. Escluso dal Giro d’Italia 1999 a causa di un valore di ematocrito al di sopra del consentito, risentì del clamore mediatico suscitato dalla vicenda. Pur tornato alle gare l’anno seguente, raggiunse solo sporadicamente i livelli cui era abituato, chiudendosi molto e, a quanto si apprese allora, abbandonandosi nella vita privata all’uso di droghe, come la cocaina. L’inizio della fine.

Le circostanze della sua morte, al pari di quelle della sua esclusione dal Giro 1999, sono ancora oggetto di dibattito.

La Fondazione “Marco Pantani Onlus”

Nel 2004 nacque a suo nome la Fondazione Marco Pantani ONLUS che ancora oggi si occupa di accoglienza e cura delle persone con problemi mentali, motori o economici, ma soprattutto di bambini, un lavoro che è nato per onorare i valori che hanno caratterizzato la vita di Marco Pantani, quali la lealtà, lo spirito di sacrificio, il rispetto per il prossimo.

Una vita, quella di Marco Pantani, vissuta intensamente ma mai dimenticando gli altri, e la propria terra, quella Romagna che porterà sempre nel cuore fino alla morte.

Il libro di Marco Ciriello

Non cerca di far chiarezza ma racconta la storia del Pirata con occhio attento e penna leggera il libro Marco Pantani. Alto sui pedali. Una vita alla rovescia di Marco Ciriello (Sperling&Kupfer, 2023, 224 pagine, euro 18,90).

Ciriello racconta una storia alla rovescia, una vita sottosopra. Ci sono le cadute e poi le ascese, le discese prima delle salite. Qui si muore e dopo si nasce, prima si perde e poi si vince. Decide di partire dalla fine, Marco Ciriello, per raccontare Marco Pantani.

Tutto inizia dal buio di quel terribile 14 febbraio 2004 nel quale il campione romagnolo perse la vita, per poi procedere a ritroso come ne La freccia del tempo di Martin Amis. Pagina dopo pagina, Pantani ricomincia a vivere.

A un tratto ricompaiono i suoi avversari, quelli nuovi e i più vecchi, e le montagne sulle quali inerpicarsi veloce come il vento; ritornano Madonna di Campiglio, la rabbia e lo sconcerto, il Tour de France vinto e il Giro d’Italia dominato. E in questo incedere al contrario si aprono scorci inaspettati, si creano legami e connessioni tra eventi, luoghi e persone all’apparenza lontanissimi: e così Pantani, più che un pirata, ci sembrerà l’ultimo re mongolo; la sua Romagna un pezzo d’Asia nel cuore d’Italia; il suo corpo, come lo furono quelli di Aldo Moro e Pier Paolo Pasolini, il simulacro di un’intera nazione.

“E’ un barbaro, un pirata, un’anomalia. O semplicemente un ragazzo al quale piace volare via in bici come se foisse il vento […] Quasi che correre sia un modo di dimenticare. […] Pedalate e pedalate, un miliardo di pedalate e tutto solo per sparire. Perché è così che nascono i ricordi”.

Marco Ciriello racconta Marco Pantani come non era mai stato fatto prima e lo fa assumendo un punto di vista obliquo, capace di cogliere la complessità di un eroe tragico e di rileggere in una chiave nuova una vicenda (sportiva, umana, collettiva) tra le più straordinarie, coinvolgenti e drammatiche dei nostri tempi. Fino alla fine, dove tutto ha inizio.


Marco Ciriello (1975) è scrittore e giornalista. Collabora con La Gazzetta dello Sport, Il Mattino, Domani e Avvenire. Ha scritto numerosi libri, tra i quali Maradona è amico mio (2018) e Valentino Rossi, il tiranno gentile (2021).

Condividi: