Come molti ormai, mi sveglio e ricevo notizie da un altro pianeta. Le Intelligenze Terminali che pulsano nei metalli del mio telefono mi danno in pasto le ultime da Marte appena apro gli occhi. Questo, prima, non succedeva praticamente a nessuno. Ma da qualche mese su Marte si è installata una piattaforma, d’umana fattura e più che umane capacità, a registrarne gli elementi e collezionarne pezzi.

Con gli occhi glassati dal sonno leggo sullo schermo luminoso che una protesi della piattaforma ha iniziato anche a trasformare quegli elementi. La protesi (a nome dell’umanità?) ha estratto 5,4 grammi di ossigeno dall’anidride carbonica dell’atmosfera di Marte, che di anidride carbonica è fatta per il 90%. Poter trasformare quella in ossigeno significa facilitare notevolmente la futura trasformazione di Homo sapiens in una specie multi-planetaria, con un primo franchising su Marte.

Esiste una letteratura filosofica giovane e stentorea sui possibili futuri extraterrestri di Homo sapiens. Muovendomi nel letto ricordo che per contratto dovrei contribuire anche io con un libro a quel programma di ricerca, ma ho quasi un anno di ritardo sulla tabella di lavoro pattuita con l’editore. Nel riaddormentarmi mi vedo scrivere il libro mentre sorseggio tè d’ibisco all’ombra di una veranda in Giordania.

Nel sogno rubato di Amman…

Quasi non ho più unghie. Mi fa male il fianco da settimane. Questa è la mia sesta ora di veglia oggi e fra poco devo spegnere il trasformatore ausiliario. In Shining era una caldaia, da spegnere ogni sera. Qui, chiaramente, non c’è più sera. Fuori da questa sorta di oblò (molte parole risultano stranamente insufficienti, qui dentro, hanno un tono infantile) è sempre buio. Sole – non ci pensi fino a che non lasci Terra – non brilla nel cielo azzurro, ma nel vuoto nero.

Quella di Sole non è la luce più forte che io conosca, ormai – è superata da quella interna ai miei occhi quando particelle cosmiche invisibili ne colpiscono i micro-capillari, lasciandomi inservibile per alcuni minuti. Spesso succede durante il tragitto tra qui e il trasformatore ausiliario, il che pone un pericolo per tutti. Non ne ho mai parlato con gli altri, ovviamente. E ovviamente anche gli altri vengono colpiti da particelle cosmiche quasi ogni giorno, ma non ne parlano con nessuno. Ogni accenno alla fragilità dei singoli è bandito a difesa del gruppo, o meglio della storia cui il gruppo deve poter credere. Dunque si sottace molto e si mente spesso. Tutti sappiamo che queste abitudini non aiuteranno, dopo, ma adesso sono necessarie. Non so se questa e le altre derive psicologiche che sono in corso qui fossero state previste o messe in conto. Di tanto in tanto vedo qualcuno accasciato negli angoli e so che è stato colpito da una particella, e che la luce gli sta scavando gli occhi da dentro, e so anche come si sente mentre questo succede (il fondo dello stomaco si alza come un’onda fin su al cervello e sembra si saldi dietro l’attaccatura del naso alla fronte, e poi tira verso dietro e scatena questo dolore ai fianchi e le gambe cedono). Ma non posso empatizzare. Io non posso e gli altri non vogliono. Effettivamente, questo lo avevano detto (scherzando, però, o almeno così sembrava, proprio mentre si chiudeva il portellone): non ci può essere empatia fra pionieri. Come prescrizione, sembra uno scherzo. Come descrizione è perfetta.

Siamo su questa navicella da mesi, e ne abbiamo ancora per un paio di settimane prima di vedere Marte. Saremo i primi umani ad abitare su Marte, o meglio post-umani, non empatici, forniti di chip collegati alla Prima Intelligenza, con le ossa e la pelle stampati in 3D. Moriremo tutti su Marte (le urne sono nello sgabuzzino qui dietro, ognuna con uno dei nostri 47 nomi già inciso sopra). Ecco il trasformatore ausiliario. Spegni. Potrebbe farlo la Prima Intelligenza, ovviamente, ma assegnarci compiti è il modo scelto per stimolare il nostro senso di responsabilità (cosa non facile, se l’empatia scompare) e tenerci in qualche modo attivi e all’erta. Anche se non è necessario, ognuno di noi ha un compito la cui mancata o manchevole esecuzione implica la catastrofe generale e il fallimento della missione.

Dicevano che i primi coloni su Marte sarebbero stati i ricchi in fuga da Terra. Ma i ricchi la roba la hanno su Terra, e lì hanno i mezzi per difenderla – dunque no. Ci sono ricchi fra noi, ma sono solo quelli che hanno investito sulla colonizzazione direttamente, sono quattro o cinque. Il resto del gruppo siamo degli entusiasti, e dei disperati. Entusiasticamente disperati, è la frase scritta su un adesivo che il mio vicino di capsula ha messo sulla porta. Pionieri, d’altronde. Solo, non liberi: lavoriamo per l’umanità, non per noi stessiIn questo siamo come i contadini della Mezzaluna Fertile che inventarono l’agricoltura e poi uno per uno morirono con le schiene spezzate sotto il sole nei campi, senza godere di ricche diete o alzare granai. Di quella rivoluzione non videro la gloria, e noi non la vedremo di questa. Ma noi, a differenza di quei poveracci, non lavoriamo per l’umanità di Terra ma per quella di Marte, che ancora non esiste. L’Astratto come guida alla morte gourmet. Morte marziana a quattro stelle.

Il viaggio è troppo lungo, a questo dovranno porre rimedio. Ero partito con un’altra anima, che ora si sta trasformando, come larve dentro un insetto cieco nella notte tutti ci stiamo trasformando durante il tragitto. Dicevano che i ricchi volessero trasferirsi su Marte e sventrarla come Terra, senza rispetto. Ma c’è una liturgia da seguire. Prima il sacrificio umano. Noi siamo quelli dati in pasto a Marte per propiziarne gli umori, un bouquet di fiori prima dello stupro. E lo abbiamo deciso noi, siamo tutti volontari qui. Volevo vedere Marte, e lo voglio ancora. Voglio vivere su Marte e non m’importa di morire. Ma adesso non m’importa di morire in modo diverso da come non mi importava prima di partire.

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