Night People: intervista a KastaDiva Queen, dal palco al make-up d’artista
Ecco come una mente creativa trasforma una crisi in opportunità: KastaDiva Queen, drag di successo, si reinventa nel makeup d'artista.
Ecco come una mente creativa trasforma una crisi in opportunità: KastaDiva Queen, drag di successo, si reinventa nel makeup d'artista.
Il suo nome è Bruno Gagliano e nella nightlife è meglio noto come KastaDiva Queen, tra le drag queen più forti nell’arte del lip-sync, quell’innata capacità che ogni drag che si rispetti è in grado di mettere in scena d’innanzi al pubblico quando abbina i movimenti labbiali alla voce registrata. Cosi reale da sembrar vero, Bruno in scena canta i brani che interpreta con altrettanta veridicità, guadagnandosi il riconoscimento pubblico con la vittoria di Miss Drag Queen Lazio nel 2017 e, nello stesso anno, come Best Impersonator ai Drag Factors Awards. Riconoscimento esteso all’intero mondo della notte che, nel tempo, lo ha portato a calcare i palchi disco più importanti d’Italia, tra Roma, Milano, Padova, fino alla nativa Sicilia. Veri e propri templi della musica e dell’entertainment notturno, tra cui compaiono luoghi simbolo, come Gay Village, Muccassassina, Alpheus, Alibi, Micca Club, Magazzini Generali, Padova Pride Village, Mama Mia, Pegaso (solo per citarne alcuni).
Nell’anno infausto che ha letteralmente atterrito il settore della notte, con tutti i suoi operatori e artisti impegnati nell’intrattenimento, Bruno si è spogliato dei panni di KastaDiva, concedendosi una pausa dal suo percorso performativo. Un momento di stasi che il perfomer aveva già iniziato, al di là della pandemia e che, a causa dell’emergenza Covid, è confluito (dopo oltre dieci anni da protagonista in scena), in un nuovo percorso artistico online in cui oggi muove i suoi primi passi. Dopo un Capodanno insolito che negli anni addietro, per tutti gli #orfanidellanotte sarebbe stato trascorso tra le luci della ribalta e le piste piene di gente, abbiamo incontrato Bruno-KastaDiva per scoprire la sua nuova vita e ricordare insieme, i fasti di un mondo che continua a mancare.
Ciao Bruno, spiegaci con chi abbiamo il piacere di parlare.
Ciao, sono Bruno, più conosciuto nel mondo della notte (capitolina soprattutto), come KastaDiva.
Da quanti anni lavori nel mondo dell’entertainment e più specificatamente nel mondo della notte?
Se consideriamo i primi passi, la gavetta fatta nei villaggi e poi a seguire, le discoteche e la vita notturna, in tutto sono circa 14 anni. Il mondo della notte l’ho conosciuto in modo più ravvicinato dopo il mio trasferimento a Roma, circa 11 anni fa.
Lo stage più divertente che Kasta-Bruno ha calcato è…?
Ho avuto la fortuna di essermi divertito tanto, sempre, e di aver avuto spesso degli ottimi compagni di viaggio. È chiaro che se affronti il mondo della notte come un lavoro a tutti gli effetti, è probabile che s’incontrino gruppi di lavoro più o meno piacevoli. Di sicuro gli anni di Muccassassina, Gay Village e Giam, sono stati i più divertenti. E sono anche quelli che porterò sempre nel cuore.
Che differenza c’è tra le serate romane, italiane e quelle estere?
Le serate romane per me sono tra le migliori in Italia. Basta citare Muccassassina e Gay Village, immaginare gli spazi e la grandezza per darsi una risposta da soli. Fino a qualche tempo fa, anche nella altre grandi città d’Italia si era ancora un po’ troppo “provinciali”. Ad eccezion fatta di Milano che, da sempre, ha avuto una movida notturna differente, quasi a sé stante. Devo dire però che negli ultimi anni, Roma vive una certa decadenza mentre pare che, città come Messina o Bologna, siano sempre più in crescendo sotto questo punto di vista. La differenza che purtroppo soffriamo rispetto alle serate estere, credo sia il perbenismo. Il non voler osare mai troppo. Il nostro perenne rimanere in una “zona comfort” che, inevitabilmente, col passare del tempo ci ha fatto diventare anacronistici.
Qual è la tua particolarità? Perché assistere ad una tua serata?
A livello di immagine sono stato uno dei primi ad aver un abbigliamento meno “baraccone”. Forse uno dei primi ad eliminare i collant (che le drag usavano stratificandone 4-5 alla volta) ed a scoprire totalmente la gamba e anche un po’ la chiappa (sorride, ndr.). Per certi versi sono “basic”, mai troppo agghindato, ma nemmeno così semplice da sfiorare il travestitismo (che è un’altra cosa). Non ho mai usato parrucche esageratissime o stoffe con stampe a fantasie. Mi è sempre piaciuto giocare con la mia silhouette e con il make-up. Le mie performance sono spesso più drammatiche, sentimentali. Sono quasi sempre da solo in scena e concentro tutta l’attenzione sulle mie espressioni, sul linguaggio del corpo e in ogni mio singolo gesto. Il playback per me dev’essere impeccabile ed è fondamentale per accendere una connessione, sin da subito, con il pubblico che mi guarda.
Com’é nata la tua figura e oggi, a palchi chiusi, in cosa sei impegnato?
Nel tempo libero, oltre a mangiare a dismisura, ascolto tantissima musica. È nettare vitale per me. Ho cominciato a fare i primi playback e a vestirmi da donna a soli 6 anni – era inevitabile che io diventassi una Drag Queen. Poi poco prima dei 18 anni con un mio caro amico, nel paese in cui sono nato in Sicilia, ci esibimmo per “gioco” in una discoteca molto importante. Mi innamorai subito e di lì a poco cominciai i miei primi passi da solo. Oggi ho deciso – dopo un periodo dedicato alla ristorazione ed una pausa con tutto questo mondo – di lavorare con il make-up. Sulle mie pagine FB e IG ho iniziato un percorso artistico a cui tengo molto, con l’obiettivo di pubblicare 300 make-up differenti (e molto particolari), nell’arco di un anno. Il tutto sposando sempre la causa fluid-gender. Oggi l’immagine va più veloce del suono e, grazie alla sua forza, potremmo abbattere tantissimi muri. Mi piacerebbe “abituare” la gente all’immagine di un uomo truccato, affinché si esaurisca quel senso di stupore, quella “stranezza” che solitamente in tanti ancora notano. Vorrei si notasse semplicemente la bellezza o la “normalità” (questa sconosciuta). È importante, oggi come non mai.
Il genere musicale su cui ti esibisci meglio?
Da sempre mi sono piaciute le voci di donne. Sopratutto le più potenti: Mina, Whitney Houston, Anna Oxa, Loredana Bertè, Lady Gaga. Mi piace immedesimarmi nelle loro sofferenze, nella loro potenza e donarla, portarla al pubblico. Dico sempre che scelgo le canzoni che ascoltiamo ad occhi chiusi, quelle che ci fanno emozionare. Poi però, se sul palco ci sono io, è compito mio portare tutto in quel sogno ad occhi aperti e cullare il pubblico, tra illusione e magia. Perché la Drag Queen altro non è, che un concentrato perfetto tra illusione e la magia.
Cosa ti manca di più della notte?
Nel mondo della notte lavorano un sacco di artisti con spiccato senso dell’umorismo. Mi mancano le risate in camerino con loro, mi manca la spensieratezza, mi manca vedere i sorrisi delle persone sotto il palco. Mi mancano gli applausi.
Il dj con cui hai avuto più piacere a lavorare?
Ho lavorato con tantissimi Dj. Mi sono divertito molto con Mattia Matthew, adoro Manuela Doriani, Dat Vila, Mads Dj. Però, una persona che mi è rimasta e mi rimarrà sempre nel cuore (insieme al marito), è indubbiamente Brezet. Dalle risate, agli abbracci fraterni, è sempre stato un piacere lavorare con lui.
Credi ci sia un futuro per il clubbing?
Si. Più che altro lo spero. Spero che la tragedia in cui e avvolto tutto questo nostro mondo finisca presto e spero anche che, questa lunga pausa, sia stata proficua a chi dirige la giostra del clubbing. Spero si sia capito che non basta mettere un po’ di musica, un po’ di ballerini sul palco, due luci colorate e qualche cocktail annacquato per spillare soldi alla gente. Spero fortemente in una rinascita del mondo della notte.
Quale scenario si profila per i tuoi colleghi? Sono figure “riutilizzabili” in altri ambiti?
Si dovrà ripartire con lentezza. Purtroppo credo che le normative igienico-sanitarie penalizzeranno ancora per un po’ questo settore. Gli artisti sono abituati a trasformare il sogno in materia, sono persone abituate alla trasformazione e sono sicuro che, non appena ce ne sarà modo, riusciranno ad adattarsi a qualunque situazione.
Come immagini la prima festa post covid?
Mi piace immaginare una serata come quella degli anni d’oro del Gay Village, in cui si ballava in diecimila, senza differenze di etnia, sesso o religione e l’unico legante erano l’allegria e la buona musica. Mi piace immaginarla piena di sorrisi, di felicità, di sudore e di allegria e, perché no, anche con un buon gin tonic ghiacciato tra le mani. Che, in fondo, risolve sempre tutto.