La cosa che più mi colpisce, nel teatrino di opinioni sulla guerra, è la virulenza con la quale dei pacati signori di sinistra, ultra settantenni, si schierano con le posizioni più combattive e intransigenti, neanche fossero iscritti all’associazione Azov. Putin è un demonio, eccetera: a ben vedere è strana questa furia, in gente che aveva superato per età il complesso del russo che mangia i bambini.

Ma un motivo credo che ci sia, ed è un motivo profondo: costoro hanno sempre perso, schierandosi per bandiere ideali, trovandosi contro democrazie molto aggressive (Stati Uniti, Israele, nelle campagne antimperialiste o mediorientali). C’era quasi una specie di paura di vincere, un elogio della sconfitta (Pasolini in qualche passo ne sostiene le ragioni) che chiamerei Nikefobia, paura della vittoria.

Nikefobia e Nikefilia

Si tratta però di gente che ha una gran voglia di vincere: e stavolta ha la meravigliosa occasione di starnazzare slogan democratici, ma finalmente accompagnati dai cannoni americani. Sarà questa la volta che un punto lo segnano?

La Nikefobia di trasforma nel suo contrario, la Nikefilia. Questa viscerale, violenta speranza li porta a ignorare del tutto qualsiasi segnale di pericolosità dell’alleato: che l’Ucraina sia, viste le leggi marziali, l’informazione unica, lo stile retorico, le simpatie e tradizioni naziste, quanto di più simile a una dittatura militare si veda oggi in Europa, pare un dettaglio.

C’è qualcosa di irrazionale, in queste strida quasi erotiche in difesa della libertà contro l’invasore, in questo chiamare alle armi: cose che non avevamo visto davanti ad analoghi soprusi, anche recenti, in Palestina o altre parti del mondo. È la Nikefilia, un amor della vittoria sempre frustrata, nuova forma di nevrosi che invito i saggi psicologi a studiare. E aggirandomi tra le loro file ho composto questa interessante canzoncina:

Canzoncina dell’interventista di sinistra.

Tutti vorremmo vincere una guerra,
Una gran guerra per la libertà;
Seppellire i caduti sottoterra
E sussurrare: “siete ancora qua”.

Tutti vorremmo piangere di gioia
Quando il nemico fugge e se ne va,
E scender nelle piazze a far baldoria,
E dire “bentornata libertà”.

Ma in genere finiva sempre male,
Vincevano quegli altri, su per giù:
Avevan dalla loro il capitale,
E seducevano la gioventù….

E quegli altri eran sempre americani,
Esibivano attrici e chevriolet:
Spargevano quattrini a piene mani,
Suggerivano un certo non so che….

E a questo ruolo di bastian contrario
in fondo ci eravamo abituati:
e inoltre, frequentando l’avversario,
un poco ne eravamo innamorati.

Ma in quei desolatissimi confini,
Quando avevo già perso la speranza,
Ecco che ricominciano le danze,
Tiran la corda i russi e gli ucraini.

Tira e ritira, la corda si spezza,
E l’ucraino aggredito ne fu:
Non stiamo a fare troppe sottigliezze,
Non stiamo a fare troppi su per giù:

Non me ne frega se quello è un pupazzo,
Se hanno deciso tanto tempo fa,
Se i nazisti bivaccano a palazzo,
E controllano tutta la città:

Noialtri si starà con l’aggredito,
Perché per tradizione lo si fa.
E il punto primo, è bello e stabilito.
Ma il bello viene adesso, e senti qua:

Perché gli americani sono i buoni
In questo giro, e giocano con me:
Per cui possiam sparare coi cannoni
In nome di Madama Liberté.

E santiddio, per una volta almeno
forse è la volta che si vincerà:
Sono vent’anni che mordiamo il freno,
È giunta l’ora! Compagni, si va!

Per una volta, ed una volta sola,
Fammi vedere vincere cos’è:
E se mi fermi ti azzanno alla gola,
Perché vuol dire che ce l’hai con me.

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