Tempo fino al 31 luglio 2021 per vedere questa mostra digitale al Museo del Novecento di Milano. Un progetto a tante dimensioni, non solo artistiche ma anche esistenziali, di attivismo, con sensibilità post femmista e sguardo visionario. Collettivo, decisamente. È stato attivato il 1 ottobre 2020 e si è concluso il 25 novembre 2020, in coincidenza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Adesso è una mostra molto molto particolare. Ma prima di leggere ancora, guardate voi stesse, voi stessi:

“Nobody’s room. Anzi, parla” è un progetto digitale di Silvia Giambrone, a cura di Carlotta Biffi, in collaborazione con il Museo e Google Arts and Culture, nato con un obiettivo preciso: riflettere sulle dinamiche di potere che innervano la contemporaneità, a partire dalla casa, spazio intimo e domestico. Le femministe classiche, quelle degli anni Settanta, per intenderci, non potranno non notare, nel sottotitolo, l’assonanza con Carla Lonzi e col suo Taci anzi parla, che consigliamo ardentemente di (ri)leggere. Assonanza che c’entra eccome, perchè la pratica usata per questo progetto ricalca quella delle donne attiviste di allora, che incoraggiavano il dialogo come strumento per una forma di trasformazione individuale e politica.

Un progetto dalla dimensione corale

Prevale, infatti, in questo straordinario progetto collettivo di arte contemporanea, la dimensione corale, e l’idea dell’opera come work in progress: l’intervento dell’artista ha avuto la funzione maieutica di stimolare nuove forme di condivisione attraverso la comunità virtuale dell’era 4.0. Si tratta di un insieme di note vocali che hanno la stessa responsabilità che, nella tragedia greca, avevano i corèuti, ricordate? Camminavano o danzavano all’unisono, commentavano con i loro canti ciò che avveniva sulla scena, talvolta intervenendo direttamente nell’azione. Anche quel coro classico era guidato da un corifèo, che in questo caso è l’artista: il corifèo era a capo dei coreuti e talvolta dialogava con gli attori (i protagonisti della nostra società, le “persone”, i visitatori della mostra), in rappresentanza di tutto il coro.

Silvia Giambrone ha affondato lo sguardo nei luoghi privati della vita, condividendone luci e ombre tramite le voci di chi ha partecipato: interventi, punti di vista e approcci differenti hanno trovato ognuno il proprio spazio vitale all’interno dell’opera d’arte, ora divenuta zona di scambio e libera espressione.

Uno straordinario archivio collettivo

Quello che vedete è una sorta di archivio collettivo che è risultato da questa esperienza, adesso fruibile per sempre nello sterminato vuoto o pieno che è il web. Le regole per partecipare e contribuire all’opera d’arte erano semplici:
1. Ascolta le istruzioni dell’artista;
2. Guarda la performance Nobody’s room;
3. Concentrati sulle tue impressioni, riflessioni, aggiunte, idee ed emozioni;
4. Raccogli il tutto in una nota vocale di max. 60 secondi. Sentiti libero di esprimerti nella forma e nella lingua che preferisci;
5. Invia la tua nota vocale all’indirizzo email nobodysroom900@gmail.com
6. Autorizza l’utilizzo della tua nota vocale nel progetto;
7. La tua nota vocale entrerà a breve a far parte dell’opera.

Come si articola il progetto

Il progetto è articolato in due atti: un primo tempo che si sviluppa nella dimensione reale, prendendo forma negli spazi del Museo del Novecento, e un secondo tempo che trova il proprio spazio nella dimensione digitale (guarda qui la mostra): l’artista reinterpreta un testo di Nedzard Maksumic e definisce diciassette punti di sopravvivenza al proprio ambiente domestico. Spiega Carlotta Biffi:

“A visione avvenuta il visitatore viene invitato ad ascoltare le istruzioni dell’artista che lo sfida a condividere le sensazioni legate al proprio nucleo domestico, e inviare una breve nota vocale in risposta. I contributi audio del pubblico, periodicamente caricati sulla piattaforma, costruiscono a poco a poco una narrazione da ascoltare e condividere. La combinazione di voci e interventi differenti non solo favorisce la creazione di una comunità virtuale, ma vuole anche evocare un’idea di opera d’arte come spazio di scambio e condivisone, una zona di libera espressione capace di aprire la strada a nuove alternative di vita possibili”.

Molto interessante la scelta audio che esclude la dimensione visuale e impone un quindi un ascolto più profondo e inclusivo. Il visitatore, infatti, necessariamente, entra anche in uno stato di autocoscienza, una sorta di mindfulness con se stesso, guidata dalla performance artistica in cui Silvia Giambrone è sia orchestratrice che membro dell’ensemble, di grande effetto e innegabile impatto emotivo.

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