Quando smettiamo di credere nei nostri sogni? Un violinista e una pianista lavorano da anni senza contratto nella cucina di un ristorante; un aspirante attore si barcamena tra provini e rapporti sessuali senza cuore né futuro; una hostess vive in camere d’albergo asettiche dove passa il tempo a disegnare, cantare e ballare da sola. Sono loro i protagonisti dell’opera prima di Alessandro Marzullo, quattro ragazzi sulla soglia dei trenta che sono disposti a tutto pur di inseguire i propri sogni.

“Non credo in niente”, la Generazione Y, i Millenials

Non credo in niente. Un titolo evocativo destinato a diventare il manifesto di una generazione per cui sognare è sempre più costoso, rischioso. Un lusso per pochi. Stiamo parlando della Generazione Y, i cosiddetti Millenials, che si ritrovano ingabbiati in una terra di mezzo fatta di lavori in nero, precariato e passioni seppellite in un cassetto della memoria sempre più remoto. Una generazione per cui tornare indietro è un fallimento e andare avanti un azzardo, per cui il compromesso è sempre più mortificante

Non credo in niente, trailer

Marzullo racconta di uomini e donne come corpi desideranti, persi nel labirinto di una metropoli, Roma, che fa da sfondo alle loro vicende. È difficile capire chi è il nemico nelle loro storie, la colpa di questa condizione esistenziale è di tutti e di nessuno: del maschilismo, del sessismo, del classismo, del nonnismo… 

Impossibile individuare anche un incidente scatenante in quanto fin dal primo istante si viene catapultati in medias res, in un mondo già buio, già difficile, già contraddittorio. Un volontario allontanamento dalla struttura tradizionale, dai processi sicuri e confortevoli del cinema contemporaneo. Una non-struttura in cui i dialoghi non hanno mai la meglio sulle immagini, e poco importa se dalla bocca dei personaggi escono parole che vanno spesso a vuoto, perché l’unico vero filo conduttore tra i protagonisti è la musica.

La colonna sonora originale a cura di Riccardo Amorese diventa infatti l’unica vera ossatura narrativa di quattro storie che, altrimenti, sembrano destinate a non incrociarsi mai. Il loro punto di contatto fisico è infatti un irresistibile paninaro (interpretato da Lorenzo Lazzarini) che frequentano a turno, mai nello stesso momento. Uno zozzone, come si dice a Roma, tanto semplice quanto necessario, che è totalmente a suo agio nel buio della notte e che dispensa perle di una saggezza popolare sempre verde, sempre vera. 

“Ci hanno tolto tutto”

sembra urlarci Marzullo, che esordisce con uno stile tutto suo, a metà tra il nostalgico e l’iper-realistico, tra l’immaginario di solitudini urbane di Wong Kar Wai e la poesia della Dolce Vita romana.

Un giovane regista che, viene da dire, non ha avuto paura di osare nemmeno nelle scelte produttive. Il film, totalmente autoprodotto e ultra-indipendente, è stato girato interamente in notturna, abbandonando il digitale e servendosi della tanto amata pellicola.

“Sul set, quando giravamo, c’era un silenzio incredibile”

racconta Demetra Bellina, che nel film veste magistralmente i panni della hostess, aggiungendo che era quasi sempre buona la prima. Solo tredici (folli) notti di riprese per un’opera prima che ha tutte le sembianze di una startup e tutto il cuore del cinema d’autore. 

Gabriel Montesi e Giuseppe Cristiano in “Non credo in niente”

Non credo in niente è stato co-prodotto e co-distribuito da Daitona e Flickmates, presentato in anteprima al Pesaro Film Festival, e attualmente ancora nelle sale più d’essai della penisola. Praticamente ad ogni proiezione è presente il cast, comprensivo di attori, produttori e distributori… belle persone che anche solo per aver fatto con così tanto cuore e coraggio questo film, vanno premiate. 

Ah, e attenzione, perché vi diranno di non credere in niente, ma in realtà credono ancora in tanto.

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