E’ Il film di cui hanno parlato un po’ tutti e che ha ricevuto molte nomination, tra cui anche quelle degli ultimi Golden Globe: Saltburn di Emerald Fennel, attrice (ha recitato il ruolo di Camilla Shand nella serie The Crown) e al suo secondo lavoro come regista produttrice e sceneggiatrice (dopo Promising young woman). Ma cosa c’entra il (neo-) decadentismo?

La storia, le scene “forti”, l’atmosfera del film

Saltburn è la storia di uno studente dell’Università di Oxford, Oliver Quick (interpretato da Barry Keoghan), attratto dal mondo di un affascinante e aristocratico compagno di college, Felix (Jacob Elordi), che lo invita a trascorrere alcuni giorni d’estate nella vasta tenuta della sua famiglia, composta da Sir James (Richard E. Grant), Lady Elspeth (Rosamund Pike), la problematica sorella Venetia (Alison Oliver) e il cugino Farleigh (Archie Madekwe). Si aggiunga nel cast anche Carey Mulligan, in una parte molto piccola.

Del film si parla tanto anche a causa di alcune scene forti (sinteticamente: vasca, vampiro, tomba), che sembrano costruite apposta per far parlare della pellicola (sul loro effetto si è parlato anche qui), oltre che per la prova di Barry Keoghan, mattatore assoluto e sempre più specializzato in ruoli disturbanti e al limite dello psicotico.

L’atmosfera del film, man mano che la storia procede, si caratterizza per un’alternanza tra oscurità e luminosità, attraversando ambientazioni di diverso tipo.

Le citazioni, cosa c’entrano i dipinti famosi?

Numerose le citazioni cinematografiche: la sensualità/fluidità immersa nella calda estate come in Chiamami col tuo nome, la seduzione/manipolazione de Il talento di Mr Ripley, la lotta di classe edizione nuovo millennio alla Parasite, il mondo gotico-vampiresco immerso nella luce blu-violacea di Nosferatu durante l’incontro tra Oliver e Venetia.

Indubbiamente molte delle immagini rimandano anche ad ambientazioni di dipinti famosi. La scena in cui Venetia prende il sole distesa, con i capelli bagnati che sfiorano il laghetto della tenuta occupato da un prato di ninfee e di altri residui botanici, è un tripudio di colori saturi che, seppure evochino l’atmosfera estiva, lasciano intravedere le tracce di quello che sarà il destino tragico e ineluttabile di una moderna Ofelia.

Ed è in questa mescolanza tra natura, languore, androginia e imminente tragicità shakespeariana che si celebra quel mondo simbolico e decadente creato, intorno alla metà dell’Ottocento, da un gruppo di artisti molto British: la confraternita dei preraffaelliti.

I preraffaelliti erano un gruppo di giovani pittori e poeti uniti dalla avversione verso gli standard accademici dominanti del tempo; nella ricerca di una forma artistica più pura, si rivolsero all’arte precedente al periodo rinascimentale. Pertanto, essi traevano ispirazioni dai temi letterari, mitologici, biblici e medievali e dalle dinamiche sentimentali descritte nelle opere di  William Shakespeare e Dante Alighieri.

Attraverso l’uso di colori vividi e dettagli precisi crearono opere intense e dal forte impatto visivo. Nelle tele di John William Waterhouse i soggetti trattati sono principalmente classici, appartenenti alla tradizione cavalleresca di Re Artù, prevalentemente femminili, spesso ritratte nei pressi di specchi d’acqua e contornate da fiori.

Il languore, la sonnolenza e l’androginia è la nota dominante nei quadri di un altro artista preraffaellita, Edward Burne-Jones, a sua volta collegabile ai soggetti di Sandro Botticelli e alla natura dipinta da Giorgione.

Edward Burne Jones, “La principessa dormiente” 1872-74, Wikimedia Commons

La pittura preraffaellita traduzione pittorica del decadentismo

Nel loro rifiuto dell’invasione industriale nell’arte, del capitalismo e dei valori borghesi, la pittura preraffaellita può essere vista come una traduzione pittorica del decadentismo.

Con Décadent nella Francia di fine ‘800 si definirono gli artisti che vivevano in modo scandaloso, contrapponendosi al positivismo e al mondo borghese. Il termine decadentismo sarà poi diffuso e utilizzato in tutta Europa, con diverse declinazioni: dal senso di disfacimento di ogni civiltà, all’immersione in un estetismo esasperato, nella venerazione per tutto ciò che è bello, esuberante, lussuoso.

L’affresco che emerge da Saltburn è quello di una società folle e decadente, fortemente classista, fintamente inclusiva, in cui, anzi, l’inclusività viene utilizzata come grimaldello per la scalata al potere.

Molti dei ricchi che appaiono nel film sono, oltre che stanchi e annoiati, anche un pò idioti, pronti ad essere scalzati dal villein di turno (e qui c’è molto di Parasite) in tempi abbastanza rapidi (forse il Quick di Oliver non è casuale).

Oliver inizialmente è una sorta di cavia incastrata in una specie di trappola dorata per il divertimento altrui; non proviene da un ambiente disagiato, ma ambisce a quel mondo aristocratico e, se inizialmente sembra solo sedotto da Felix (non solo per la fisicità, ma anche per la naturale capacità di piacere del giovane aristocratico), successivamente riuscirà a sostituirlo e a far parte del giro giusto, attraverso un gioco di sesso e potere.

La scena del compleanno di Oliver include la panoramica di una scala interna, intorno alla quale si scorgono degli affreschi barocchi, per i quali la regista ha dichiarato di ispirarsi a Caravaggio. La vera oscurità caravaggesca emergerà successivamente, in un labirinto, luogo di smarrimento per i protagonisti e per lo spettatore, che sino ad allora credeva di partecipare ad una festa, ma che si trova di fronte ad un’ulteriore trappola, quella in cui l’inversione dei ruoli di potere si fa ormai più chiara.

Se il decadentismo era rappresentato da talenti nella scrittura e nella pittura, qui non vediamo che una famiglia disfunzionale ormai vittima delle più classiche strategie manipolative messe in atto da un novello Mr. Ripley, che celebra il suo successo con un balletto, completamente nudo, totalmente solo, per le sale di Saltburn, assaporando la gioia di avercela fatta.

Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti, ogni giorno d’un passo, nel fetore delle tenebre, scendiamo verso l’inferno, senza orrore”. (Charles Baudelaire)

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