Su Netflix Italia, la bella miniserie The Chair, creata da due donne, Amanda Peet e Annie Julia Wyman, e interpretata dalla magnifica Sandra Oh, è stata intitolata La direttrice: brutto ma corretto, poiché da noi gli Atenei hanno rettori e rettrici, le Facoltà i/le Presidi, e i Dipartimenti appunti direttori e direttrici.

The Chair, in inglese, è neutro e non è solo abbreviazione di chairperson (direttore, direttrice) ma indica il ruolo: la cattedra, la direzione, vera protagonista di questa serie che mescola femminismo, dolenti riflessioni sul futuro degli studi umanistici e critica all’imbalsamazione del mondo accademico in genere.  La storia (sei puntate di mezz’ora l’una) parte così: a occupare la poltrona di capo del Dipartimenti di studi di inglese in un ateneo dell’est statunitense è per la prima volta una donna, di origine sudcoreana.

Siamo nell’Università di Pembroke, immaginaria ma non troppo (esiste una University of North Carolina – Pembroke) prestigiosa e, naturalmente, intenta a puntare tutto sulle materie scientifiche mentre gli studi letterari attirano sempre meno. E in particolare sempre meno attirano le tre cattedre rette dai più anziani dell’istituto, due uomini e una donna, abituati alle loro lezioni frontali e dogmatiche. Nota importante: i docenti negli Stati Uniti si dividono fra personale a contratto – licenziabili a piacere – e dotati di tenure, cioè ingaggiati a vita, o finché non si riesce a farli fuori.

Può una cattedra, con soli 6 studenti iscritti, valere lo stipendio faraonico di un docente ultrasettantenne? Secondo il preside della facoltà di studi umanistici, no, e i dinosauri vanno espulsi appena possibile. Questo problema accademico è il primo guaio per la neodirettrice  Ji-Yoon Kim, cioé Sandra Oh (molte stagioni di Grey’s Anatomy, Killing Eve), che ha promesso di proteggere i colleghi ma fatica a tutelarli.

Secondo guaio: la sua pestifera figlioletta adottiva, arrivata dall’America Latina. Terzo guaio: il futuro incerto della giovane, talentuosa collega afroamericana Yasmin McKay, intepretata da Nana Mensah (il pubblico italiano la ha apprezzata fra l’altro in Tredici e New Amsterdam), i cui corsi sono sempre affollati perché è capace di coinvolgere gli studenti inscenando – per esempio – rivisitazioni di Moby Dick, per l’orrore dei colleghi anziani. Ji-Yoon vorrebbe darle la tenure e assicurarsela prima che voli verso Yale, ma non ci sono soldi, oppure ci sono troppi pregiudizi a bloccare una giovane donna nera, oppure tutte e due le cose, e la 46enne sudcoreana ha le idee chiare su quel che vorrebbe, ma subisce l’abitudine non a imporsi, e a cercare sempre il compromesso.

Ultimo guaio, grosso: il suo romantic interest, un collega amico ed ex amante, attualmente devastato dai rimorsi e dal lutto per la morte della moglie, che si ficca in una serie di casini sempre più gravi obbligandola a spaccarsi fra autorità e affetto (gli uomini, sostanzialmente, combinano sempre guai. Lui è Jay Dupless, visto fra l’altro in Transparent).

Ad aumentare il quoziente femminile, c’è una dei tre docenti-dinosauri, interpretata dalla splendida Holland Taylor: il personaggio più eccentrico, poco amata dagli studenti ma appassionata della sua materia, dolentemente conscia di essere stata presa in giro tutta la carriera (pagata meno, poco apprezzata) ma piena di feroce ironia. Proprio lei precipiterà la conclusione, divisa fra la lealtà ai colleghi dinosauri e la – come chiamarla altrimenti? – sorellanza.

La sceneggiatura di The Chair scintilla, e ha il merito di considerare tutti i punti di vista: ci immedesimiamo coi professori minacciati di defenestramento, ma anche coi giovani studenti intransigenti e la loro voglia di novità; capiamo le ragioni e la determinazione della giovane professoressa McKay, ma anche l’indecisione della neodirettrice, bloccata dall’abitudine alla mediazione e dalla sua propria cultura asiatica. Ne emergono gli Stati Uniti: calderone culturale (evviva), terra delle opportunità se si riescono a schivare i preconcetti e le discriminazioni. Si ride anche parecchio – in fondo è una commedia – e alla fine sì, qualche passo avanti si è fatto per la causa della parità e della diversità. Ma quanto è lunga la strada, e quanto è in salita…

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