“Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità”.

Con queste parole, Kamala Harris accoglie la nomina a vicepresidente degli Stati Uniti e parla soprattutto alle donne, nere, asiatiche, bianche, latine e native americane, a tutte quelle che hanno creduto, a coloro che hanno animato i luoghi della resistenza, a chi ha lavorato per garantire alle altre nuove possibilità identitarie e nuovi spazi pubblici.

Non solo: Harris parla a chi ha avuto la capacità di vedere intervalli inesplorati, di illuminarli, di mapparne le geografie possibili così che tutte potessero osare reinventarsi oltre i confini dei racconti bianchi, maschili e coloniali.

Figlia di immigrati, nera, asiatica, Kamala Harris è la prima donna a raggiungere la vicepresidenza USA. Il momento è storico: si rompe una geometria complessa di regole e combinazioni. Le immagini sedimentate e porose a cui eravamo abituati vengono d’un tratto spazzate via da un’iconografia rinnovata, luminosa.

La vittoria di Harris fa la storia in molti modi: fa emergere una nuova America, giovane, generosa e salvifica, lontana dalle matrici della normatività e dai linguaggi unici, esclusivi, dominanti. Arriva dopo tre campagne infruttuose da parte di donne nominate per le più alte cariche politiche della nazione: Hillary Clinton per la presidenza nel 2016, Sarah Palin per la vicepresidenza nel 2008 e Geraldine Ferraro sempre per la vicepresidenza nel 1984. Harris è stata la prima donna nera a far parte di un ticket presidenziale vincente.

Il suo successo ci informa sulle possibilità di sovversione del discorso. Da sempre, le cartografie del potere disegnano le donne estranee alle sue dinamiche. Lo dice il modo in cui ne parliamo, le metafore che usiamo. Le donne al potere devono sgomitare, abbattere barriere, rompere soffitti di cristallo. Devono guadagnarsi, più dei loro colleghi maschi, i frutti di una democrazia incompiuta, inesatta.

Per questo festeggiamo: non per ingenuità. L’arrivo di una donna al potere non chiuderà per sempre la partita della parità, né coinciderà con la fine dei problemi dell’America. Il successo politico di Harris verrà misurato non dalla forza trasformativa delle sue prove di immaginazione, ma dagli atti concreti che sarà in grado di compiere. Lo ricordiamo: le premesse di rappresentazione non devono essere luoghi di fantasia, ma di responsabilità.

Ma intanto celebriamo l’inizio della possibilità, l’idea di vedere e immaginare un presente e un futuro diversi, in cui il potere e la sua gestione si aprano a nuove occasioni di identificazione. Un tempo in cui le conquiste di pochi siano il luogo dove tutti prosperano. Dove le azioni politiche abbiano carattere performativo e non sfuggano l’oltrepassamento di confini, la ridiscussione dei ruoli e delle relazioni tra soggetti, la violazione continua degli spazi di significazione e, più di tutto, l’esubero di incastri su cui può reggersi il mondo.

Forza Kamala!

Condividi: