Sono passati cinque anni e nove mesi dalla morte di Giulio Regeni, e stamattina, 14 ottobre, nell’aula bunker di Rebibbia si apre il processo in corte d’Assise sui quattro agenti 007 egiziani imputati di sequestro di persona, lesioni e, uno dei quattro, concorso in omicidio. Il nodo da sciogliere è quello di non avere potuto notificare agli imputati la data del processo perché irreperibili. L’Egitto infatti non ha mai fornito gli indirizzi per inviare loro gli atti dell’udienza preliminare. In sostanza quindi risultano irreperibili. Tuttavia il Gup Pierluigi Balestrieri ha evidenziato che la copertura mediatica capillare e straordinaria ha reso la notizia della pendenza del processo un fatto noto a tutti. Dunque grazie ai mezzi di stampa e ai social network cadrebbe la questione della irreperibilità.

Questo significa almeno una cosa: che parlare di Giulio Regeni è bene, anzi, parlarne è un dovere, ora e sempre, non solo perché non bisogna dimenticare e bisogna continuare a cercare la verità, ma anche, più pragmaticamente, perché parlarne può mettere in crisi il muro difensivo e omertoso costruito intorno ai responsabili di questo efferato omicidio. Addirittura parlare di Giulio e del suo processo che si apre stamattina può fare cadere il vizio di notifica.
Inoltre domani c’è una novità importante: il Governo si costituisce parte civile al fianco della famiglia Regeni, e verrano a testimoniare tutti i presidenti del consiglio degli ultimi cinque anni, ovvero Renzi, Gentiloni, Conti e Draghi, insieme ai ministri degli Esteri. E così il processo acquista dimensione e peso diversi.

E in questo evolversi in crescendo, in cui diventa sempre più importante continuare a vigilare, anche noi non smetteremo mai di parlare di Giulio Regeni, perché il suo assassinio resta una ferita sanguinante nella nostra idea di democrazia e di tutela dei diritti. E’ questo il senso di questi manifesti e striscioni che continuano ad essere affissi non solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri, come nella piccola Muggia, delizioso e tranquilla località turistica in provincia di Trieste, dove lo striscione giallo campeggia sull’aggraziato palazzo del comune. La richiesta di verità per Giulio Regeni è diventata il vessillo che tanti comuni italiani, enti locali, istituti universitari, centri di ricerca e spazi museali sbandierano sui loro edifici per non far calare il sipario. L’ultimo è comparso l’altro ieri, il 12 ottobre, sulla Torre del Serpe a Firenze, in viale Fratelli Rosselli, per mantenere la promessa fatta dalla Sezione degli scout laici CNGEI di Firenze alla famiglia Regeni di chiedere verità e giustizia per Giulio.

In prima linea è da sempre Amnesty International, che sul proprio sito permette di scaricare i loghi e le immagini per promuovere la campagna sui social network e pubblica il docufilm realizzato da Repubblica in cinque episodi sulla drammatica vicenda di Giulio Regeni.

In prima linea poi sono i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, autori del libro Giulio fa cose, (Edizioni Feltrinelli) che insieme al loro avvocato Alessandra Ballerini, una tigre in fatto di diritti umani, ci raccontano chi è stato questo ragazzo di soli 28 anni, ma anche chi avrebbe potuto essere se non fosse stato privato della sua vita in un modo così violento e crudele. Un libro che affonda il dito nella piaga quando racconta con parole amare i momenti più drammatici della vicenda, come il riconoscimento del corpo all’obitorio e i tormenti insanabili di due genitori che si fanno costantemente mille domande su quanto avrà sofferto. Domande che non avranno mai risposta.

L’hashtag che sta girando in queste ore è #14ottobrescortapergiulio, soprattutto tra coloro che oramai si definiscono il popolo giallo. Un altro hashtag molto seguito è #regeni, sulla cui pagina FB si trovano anche alcune delle splendide vignette di Mauro Biani, ma anche #energiagialla, dove si raccolgono tutte le iniziative a sostegno della causa. Social media, giornali e canali radiotelevisivi nei quali ormai sempre più spesso Giulio Regeni è affiancato a Patrick Zaki, perché i loro destini si intrecciano dolorosamente sotto la scure repressiva del governo egiziano.

Intanto mentre si apre il processo d’assise, mettiamo bene in vista il braccialetto giallo che indossiamo al polso. E chi ancora non fosse riuscito a trovarlo, può scrivere al comitatoveritapergiulioregeni@gmail.com.

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