Nel 1966, Franca Viola diventa la prima donna italiana a portare in tribunale un convegno culturale che la fa sposare con il suo stupratore. Con gli occhi di una nazione su Viola, la sua dichiarazione al suo stupratore dal banco dei testimoni è diventata un grido di battaglia affinché altre donne seguissero l’esempio.

Viola cresce ad Alcamo, in Sicilia, in una famiglia di contadini. Nel 1963 frequenta per sei mesi Filippo Melodia, un giovane locale legato alla mafia poco più che ventenne, prima di rifiutarlo. Lui trascorre l’anno successivo in Germania, e quando torna e Viola ancora non lo vuole, e così fa ricorso a misure violente, partendo dal presupposto che la legge sia dalla sua parte.

Melodia aspetta che il padre di Viola sia fuori casa, poi fa irruzione con 15 amici e la rapisce. La tiene prigioniera in una remota fattoria per più di una settimana, durante la quale la violenta.

Tradizionalmente, un crimine così spaventoso sarebbe stato scusato se la coppia in seguito si fosse sposata in un matrimonio riparatore – l’uomo perdonato per la sua violenza e l’onore della donna ripristinato. Questa non era solo una tradizione informale, ma un’eccezione esplicita nel codice penale italiano.

“Non ti amo, non ti sposerò”

disse Franca Viola.

Credits: Daisy Alioto

Invece, Viola porta Melodia in tribunale per rapimento, stupro ed intimidazione.

Il processo fece scalpore ad Alcamo e non solo. La folla accorreva ai dibattiti sul processo, che furono poi riportati dal New York Times con i titoli più condiscendenti: “Nessun ammiratore chiama Franca di Sicilia”.

Pur essendo la figura centrale di questi eventi, la narrazione pubblica ha messo in ombra il pensiero e gli obiettivi di Viola in merito. I giornali la descrivevano come gentile, magra e carina.

Filippo Melodia e i suoi complici attendono il processo dietro le sbarre.
Credits: Daisy Alioto

Alla fine Melodia venne dichiarato colpevole e condannato a 11 anni di carcere (successivamente appellato fino a dieci), con sette dei suoi complici che hanno ricevuto quattro anni di carcere.

La regista italiana Marta Savina ha dato vita alla storia di Viola in un cortometraggio di 15 minuti che è stato recentemente proiettato al Tribeca Film Festival. Per Marta Savina, il corto Viola, Franca (2017) è stato un modo per sovrascrivere il sapientone che all’epoca aveva messo in ombra la scelta coraggiosa di Viola. Questo viene fatto attraverso l’espressività fisica dell’attrice protagonista Claudia Gusmano, la cui unica battuta è la parola no.

“Siamo abituati a pensare ai leader e alle persone che cambiano la storia come a persone schiette”, afferma Marta Savina. Voleva mostrare come Viola, che ha vissuto al di fuori dei riflettori, rimane un modello per la sua resistenza.

Il cortometraggio, che alla fine diventerà un lungometraggio, mostra anche l’importanza degli alleati maschili nel ritenere altri uomini responsabili di molestie e violenze di genere. “La famiglia [di Viola] e suo padre l’hanno sostenuta in modo specifico”, spiega Marta Savina.

A dicembre 2017 il corto Viola, Franca viene proiettato ad Alcamo. Sarà la prima volta che Franca Viola lo vedrà.

Il cortometraggio 5 anni dopo prenderà forma per divenire un film dal titolo Primadonna (2022), sempre con la regia di Marta Savina.

Un film raccontato con delicatezza e determinazione al tempo stesso, e il cui coraggio viene premiato al Concorso Panorama Italia ad Alice nella Città – sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma – aggiudicandosi il Premio Raffaella Fioretta per il Cinema Italiano 2022 assegnato dalla giuria.

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