Un antefatto dal sapore di sfasciacarrozze e fondali di stagnola apre l’ultimo, convincente atto della Trilogia del Vento di Fabiana Iacozzilli fino al 2 Febbraio al Teatro Vascello di Roma, poi a Bari e Casale Monferrato, che scandisce le età come le ere in un celebre quadro di Klimt. Un amore anziano, quasi epico, che ha lasciato una donna sola e smemorata, incatenata con i figli, che a stento riconosce, su di un desco che assomiglia a una Porta Portese di serie C, sullo sfondo di una libreria sovraffollata di orpelli inutili, retrogusto di formica, parata di bambole sfondate, pupazzi da calcio Balilla e ti aspetti di vedere spuntare l’Enciclopedia dei 15, o almeno un suo volume dagli altri scoordinato.

Fabiana Iacozzilli, il dolore
trasformato in bellezza

Il pranzo che si svolge tra la mamma smemorata e i due figli presenti, commossi, infastiditi, che lei riconosce a tratti come accade in alcuni legami durante una costellazione familiare, è comunque gravido di tenerezza, abitudine, fastidio, come nei pranzi familiari più consueti, dove la radice splende al di là del dolore e sa, come dichiaratamente espresso nel testo, trasformarlo in bellezza. Manca un pasticcino al cioccolato, oggi non c’era, tra stracci, zuppa di ceci con acciughe, una partita di calcio sullo sfondo così decisamente anni ’70, l’inutile accumulo della memoria che la malattia sa sgomberare, quasi per grazia inopportuna.

Una matrioska, ricordo di una
favolosa tournée sepolta in Russia

C’è uno schermo che dilata le ragnatele di rughe, lo sfaldamento del corpo immemore, splendore e miseria dell’inevitabile declino di ciascuno, la telecamera con cui la mamma viene controllata come un animaletto domestico, eppure vibra la dolcezza comunque di uno smemorato stare insieme dove i silenzi contano come le parole e le parole come pietre, c’è un lessico famigliare esausto dall’evocazione cantilenante di una matrioska, ricordo di una favolosa tournée sepolta in Russia, giorni di gloria insistentemente riesumati in un monologo ripetuto a stralci, all’estenuazione della vecchia attrice. Ci sono pensieri imbrigliati in un retino da farfalle in questo smarginarsi dell’ecosistema quotidiano fibrillante e statico, si invita una ciabatta da portare a cena fuori perché nel mondo di Giusi il blu è loquace e lei balla sulle rimostranze dei suoi stivali.

In questo impalpabile e dolce strazio una platea gremita di giovanissimi assiste all’incoronazione conclusiva di questa eclissi della vita stessa, parabola impalcabile che ci riguarda tutti, nella sua metamorfosi assistita in Lear con una tovaglia per mantello, carta stagnola per corona e scettro a trono sbiadita poltroncina umanissima.

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
regia Fabiana Iacozzilli
drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona
Abokhatwa 
per la prima volta in scena



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