(English translation below)
Ogni giorno Rewriters pubblica una fotografia di copertina scelta da Fabio Lovino. Possiamo soffermarci su ciascuna di esse, ma prendiamo quella del 21 gennaio. In quel bianco e nero, in quell’aborto di veicolo abbandonato in riva al mare, pronto a salpare verso il nulla, nemmeno verso una discarica, si può immaginare la metafora del viaggio di questi tempi senza movimento (è carnevale, meglio: sarebbe carnevale – e nemmeno un passo di danza per strada è auspicabile). Ma inchiodati di fronte allo schermo del pc, ogni fotografia funge da surrogato del viaggio, e la fotografia si afferma per quello che ha sempre voluto essere: “Un’immagine che esprime il sentimento di un tempo e di un luogo, ritrae una terra, la sua gente o una cultura nel suo stato naturale, e non ha limitazioni geografiche”

Tale la definizione fa parte della Photographic Society of America della fotografia di viaggio, una categoria ambigua, perché qualsiasi fotografia è un surrogato e, per certe anime sensibili, perfino una forma del viaggio (alla foto di viaggio la venerabile società dedica un suo dipartimento; si consultino ad esempio la galleria dei falsi viaggi). Cambiano i gradi di intensità, le velocità, e la qualità, ma la meccanica della fotografia in rapporto al viaggiare, è sempre la stessa. 

Del viaggio, la fotografia riprende non solo la rappresentazione dello spazio, anche vicinissimo, che diventa altrove, ma anche il suo diverso calendario: una macchina del tempo

Spesso però si equivoca: la fotografia non ci fa viaggiare, non ci porta in un altro tempo. Noi restiamo fermi, noi non siamo liberati dai vincoli a cui siamo sottoposti. È essa a viaggiare, è quell’immagine che solca le epoche e le geografie e si presenta a noi, tra le nostre mani o sui nostri schermi. Un’alchimia che ci sorprende fino alla commozione: quando guardo la fotografia di mia moglie, che è morta giovane proprio due anni fa, non mi sento tornare a quei tempi, ma ne sento arrivare una particella fino a me, di lei, dei luoghi dove eravamo insieme. Per una volta, grazie alla fotografia, il viaggio non lo facciamo ma lo subiamo, siamo noi la destinazione di queste immagini magiche. 

Magiche e maledette, i viaggi delle fotografie possono riportare in superficie incubi e ossessioni, fino a spaesarci – lo spaesamento (un giorno dovrò scriverne) è una forma di cammino di cui abbiano perso il controllo e che irrompe dentro di noi. Ad esempio questa fotografia:

Cinque giovani, pieni di saluta, di baldoria. Tutti molto eleganti. E le acconciature delle ragazze, una più bella dell’altra, e anche i maschi – che virilità. Otto personaggi – due uomini, tre donne e tre pistole, maneggiate con fare erotico, tra la voglia di mostrare di chi sa già sparare e l’ebrezza di chi pare farlo per la prima volta. A chi sparano? Dato il contesto potrebbe essere anche un ebreo sfinito – e basta questo sospetto e l’energica bellezza diventa infernale. Si sono appena conosciuti o sono frequentazioni di vecchia data? E come, in cinque, si accoppieranno? C’è una spavalderia effimera, chissà che destino avrà avuto la forza di questi cinque splendori; sappiamo come è andata a finire. Il fatto che noi lo sappiamo, e non loro al momento di quello scatto, ci conferma che il viaggio lo fanno loro verso di noi. Noi lo abbiamo già compiuto. In quelle pose plastiche c’è un paesaggio dell’Europa – un continente in bianco e nero in molti sensi. Grazie al talento di un fotografo che sapeva scegliere i momenti giusti, quell’Europa con la sua fauna umana è giunta fino a noi, e ci dà i fremiti.  Perché nei viaggi i nostri sensi sono scossi e una fotografia è un viaggio alla rovescia, come quello dei fantasmi che ci visitano di notte e chissà da dove vengono veramente e dove poi tornano a nascondersi. 

ENGLISH VERSION

That dark journey of every photograph

Even from very far away, an image can come, it is she who sets out on the journey and what disorientation she causes by reaching us.

Every day, Rewriters publishes a cover photograph chosen by Fabio Lovino. We can dwell on each of them, but let’s take the one of January 21. In that black and white picture, in that abortion of a vehicle abandoned by the sea, ready to set sail towards nowhere, not even towards a landfill, one can imagine the metaphor of the journey of these times without movement (it is the carnival, better: it would be the carnival – but and not even a move of dance is desirable). Nailed in front of the PC screen, each photo acts as a substitute for travel, and photography affirms itself as: “An image that expresses the feeling of a time and a place, portrays a land, its people or a culture in its natural state, and it has no geographical limitations ”. Such is the definition by the Photographic Society of America of “travel photography”, an ambiguous category, because every photo is a surrogate and, for certain sensitive souls, even a form of travel (the Society dedicates to travel photos one of its department: https://psa-photo.org/index.php?divisions-photo-travel; consult for example the amazing gallery of false travels). 

The degrees of intensity, the speeds, and the quality change, but the mechanics of photos in relation to travelling are always the same. Of travelling, photos take up not only the representation of space, which always becomes an elsewhere place, but also its different calendar: a photo is a time machine. However, it is often misunderstood that photography does not make us travelling, it does not take us to another time. We remain where we are, we do not free us from the bonds to which we are subjected. It is the photo which travels, it is that image that cuts through ages and geographies and appears in front of us, in our hands or on our screens. Alchemy that surprises us to the point of emotion: when I look at the photograph of my wife, who died young just two years ago, I don’t feel like going back to “those times”, but I feel a particle of that time, of her, of the places where we were together, reaching me. For once, thanks to photography, we don’t make the journey but we are subject to it, we are the destination of these magical images. Magical and cursed, the travels of photos can bring to surface nightmares and obsessions, ending up disorienting us – disorientation (one day I will have to write about it) is a form of journey that we have lost control of and that bursts into us. 

For example this photograph of five young people, full of greetings, of revelry. All very elegant. And the hairstyles of the girls, one more beautiful than the other, and also the males – what virility. Eight characters – two men, three women and three guns, handled in an erotic way, with the desire to show how to shoot and the thrill of doing it for the first time. Who are they shooting at? Given the context, he could also be an exhausted Jew – and such a suspicion is enough to make their energetic beauty infernal. Did they just meet or are old friends? And how, in five, will they mate? There is an ephemeral bravado, and who knows how this “splendid” youth ended. Actually, we know how it turned out. The fact that we know it, and not them at the moment of that photo, confirms that they are making the journey towards us and that we have already done it. In those plastic poses there is a landscape of Europe – a continent in black and white in many ways. 

Thanks to the talent of a photographer who knew how to choose the right moments, that Europe with its human fauna has reached us, and it gives us tremors. Because in travels our senses are shaken and a photograph is a reverse journey, like that of ghosts who visit us at night and nobody knows where they really come from and where they go back to hide. 

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