Red è una pop song coloratissima, esagerata e liberatoria che racconta la pubertà con una metafora portentosa: un panda che si libera dal corpo ogni volta che non si riesce a gestire un’emozione.

Comprendo bene la Pixar, che punta tutto su Domee Shi, già Premio Oscar per il suo corto d’animazione Bao, con una convinzione paragonabile a quella che usò per il giovane Tim Burton proprio negli anni ’80: Shi è un genio assoluto, e in Red, disponibile dall’11 marzo 2022 du Disney+, il suo talento è sotto gli occhi di tuttə.

Consiglio assolutamente la visione a grandi e piccinə, ma soprattutto ai grandi, che raramente trovano se stessi in una animazione: anche se la trama racconta del primo ciclo mestruale (simbolizzato da un panda per l’appunto rosso) e dello sconvolgimento psico-fisico di una ragazzina tredicenne alle prese con l’incubosa adolescenza, anche se siamo davanti a un cartone adatto a bambinə pure molto piccolə, trovo che l’opera sia una lettura straordinaria e raffinatissima delle difficoltà di ognunə di noi ad equilibrare le emozioni.

Essere adulti infatti non significa, in automatico, essere equilibrati: casomai, il tempo della vita ci aiuta a modulare sempre meglio il nostro comportamento (dunque raffina le nostre competenze sociali e relazionali), ma non sempre questo equivale a una buona autoregolazione emotiva.

Red racconta anche questo, tra le tante letture possibili, e lo fa in modo non giudicante, empatico e meravigliosamente catartico.

La storia si svolge a Toronto e ha per protagonista Meilin, ragazzetta di origini cinesi obbediente ed educata, devota ai suoi e soprattutto alla madre Ming, che dopo la scuola aiuta con le visite dei turisti all’antico tempio di famiglia. Oltre a questo però, Meilin ha le sue amiche, fan sfegatate di una boy band con cui si diverte e sperimenta le prime trasgressioni, leggere disobbedienze se non altro in termini di gusti musicali.

Le cose si complicano quando un mattino Meilin si sveglia trasformata in un enorme, distruttivo, incontrollabile panda rosso: come non ricordare sensazione simili di fronte alla pubertà? Quell’angoscia di sentirsi deformatə, irriconoscibilə, preda di odori nuovi, puzze, corpi che cambiano e che fanno saltare l’immagine che avevamo di noi stessə fino al giorno prima.

Il bisogno di accettazione, a quel punto, non passa più solo dallo sguardo riflesso dei genitori ma si rivolge anche agli amici o alle amiche, ed è impossibile rinunciare a uno dei due. Per questo, il conflitto fisiologico tra le regole non scritte dai genitori e quelle dagli amici diventa insopportabile e conflittuale.

Senza spoilerare, è ovvio che crescere significa accettarsi, ed è un processo che non finisce più, forse solo in vecchiaia si attenua. Attraverso una serie di rocambolesche avventure, di conflitti a fuoco con la famiglia ma anche con le amiche, il panda rosso diventa non più solo ingombrante, imbarazzante, espressione di un senso di inadeguatezza, ma anche tenero, caldo, dolcissimo: solo quando Meilin lo riconoscerà, riconoscendosi, attraverso un percorso doloroso di autonomia e scelta, tutto si ricomporrà.

La genialità di Domee Shi sta nel normalizzare il mostro, operazione che di solito il cinema affida al genere horror, e lo fa con umorismo, intelligenza e raffinatezza, andando ad indagare il complesso percorso della costruzione dell’identità femminile e della sua emancipazione e autodeterminazione attraverso la traccia matrilineare di tre generazioni.

Coltissimo anche il linguaggio, tra filologia e pop: le citazioni stilistiche e di contenuto dell’animazione giapponese di fine millennio scorso con tanto di trasformazioni magiche sono perfettamente impastate alle esagerazioni grafiche tipiche della postmodernità hollywoodiana, in un mix che riesce a trovare una sintesi efficace tra vecchio e nuovo, proprio come impone appunto l’adolescenza.

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